(ratto da un articolo di don Ivo apparso su Lumen Vitae, Revue internationale decatéchèse et de pastorale, Vol LXXII, n. 2 – 2017, pp. 161-174)

« Sogno una scelta missionaria capace di cambiare ogni cosa… »: le parole di Evangelii Gaudiumfanno cogliere con chiarezza che ciò che può dar vita al Secondo annuncio nella vita di una parrocchia è la capacità di maturare una visione profetica. Servono alla comunità uomini e donne capaci di saper sognare, più che di saper programmare; operatori pastorali che pur facendo memoria delle proprie tradizioni lascino spazio all’immaginazione; guide di comunità capaci di indicare un futuro desiderabile legittimando nuove esperienze e nuovi linguaggi nei quali custodire chi da sempre abita la parrocchia e di ospitare chi da tempo non la vive più come casa propria. 

La sfida del Secondo annuncio, almeno nel contesto culturale ed ecclesiale italiano risiede in questa sintesi di custodia e di ospitalità. Gli uni e gli altri, abbattendo il muro invisibile che è frammezzo (Ef 2, 13-18), si possono ritrovare come fratelli e compagni di cammino nell’unica comunità: rinnovata per i primi, ritrovata per i secondi. Una profezia dolce, che consente ai primi di avanzare per rinnovare la propria abituale abitazione, che consenta ai secondi di riscoprirsi, con sorpresa vicini a casa, anzi già ospitati tra le sue mura che sembravano fino a ieri così estranee. 

Tutto inizia accettando la fatica, liberante ma anche imbarazzante, di mettere le ordinarie attività di una parrocchia un po’ in disordine. Quando si fa un trasloco, infatti, prima di riorganizzare ogni cosa negli scatoloni, si comincia a smuovere quanto è stato collocato in un certo modo per lungo tempo. Rimettendo in moto ciò che era fermo, lo si riorganizza nei contenitori perché sia collocato diversamente nella nuova abitazione. 

Accade un po’ così anche in una parrocchia che introduca la logica del Secondo annuncio nelle sua ordinarie pratiche pastorali. Non si tratta certo di fare tabula rasadi quanto fin qui si è fatto, quanto piuttosto di far evolvere il « sistema parrocchia » iniziando a smuovere un ambito di azione, ad attivare un gruppo di operatori pastorali, mettendo in discussione quanto fatto fino ad oggi, magari attraverso l’assunzione consapevole e via via più critica del disagio pastorale. 

Accogliere il disagio non come occasione di lamentela, ma come opportunità di ripensamentoè una via feconda: gli operatori pastorali iniziano a rendersi conto che quella certa stanchezza, la ripetitività di certe azioni, l’aridità dei cosiddetti risultati sono un segnale che « Dio non è qui » (Mt 28, 6), che sta operando altrove, forse lontano dalle nostre mediazioni.

A seguito di questa dolorosa e assieme liberante presa di coscienza che « qualcosa proprio non va » occorre darsi tempo per ripensare. La lettura, lo studio e l’attivazione della ricerca – accettando di perdere tempo anche attraverso la sospensione delle attività – sono il tempo fecondo dell’aratura del terreno sul quale fino a ieri si continuava a seminare senza porsi tante domande. 

Il passaggio successivo è quello di darsi il permesso di immaginare quanto fin qui era del tutto impossibile pensare: perché non azzardare qualcosa di nuovo? Possiamo osare una pratica di cui non conosciamo l’esito? 

Ma come in ogni trasloco dopo l’iniziale disordine occorre fare un piano per decidere cosa gettare via e che cosa invece vogliamo portare con noi, così nelle azioni di Secondo annuncio a questo punto si definisce la nuova prassi, dandosi anche il tempo di delinearne la figuraal fine di poterne verificare la pertinenza via via che le si dà corpo.   

Ovvio che questo nuovo inizio non lascia indifferenti: a reagire ad esso di solito non sono « i destinatari » del Secondo annuncio – uomini e donne che il Secondo annuncio non considera più tali perché li considera come nuovi protagonisti di un dialogo di reciprocità – ma i membri stessi della comunità parrocchiale. È l’organismo comunitario, infatti, che percepisce che qualcosa non funziona più come prima e che vive il disagio di questa logica che mette le cose in disordine. Se ad esempio, come di frequente accade, il Secondo annuncio trova casa nei cammini di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi per farli evolvere in percorsi di riscoperta della fede cristiana a partire dagli adulti, gli operatori della liturgia si sentono immediatamente spiazzati: è impossibile che cambi la tradizionale via di accesso all’esperienza cristiana comunitaria senza che questo abbia ripercussioni su tutto il resto della vita parrocchiale, ad iniziare dalla celebrazione liturgica domenicale. Il Secondo annuncio viene perciò accolto con disponibilità oppure guardato con sospetto, forse a volte anche aggredito da chi si sente minacciato dal suo linguaggio, dalle sue pratiche, dai suoi protagonisti. La caratura profetica delle iniziative di Secondo annuncio si gioca proprio qui: la sua autenticità è avvalorata dal disagio che attiva e dal conflitto che scatena. È scandalo per quelli « di dentro » e sorpresa per « quelli di fuori ». In entrambi provoca una crisi delle immagini di chiesa e di Dio stesso e così chiama gli uni e gli altri a conversione. Non vi sarà dunque da sorprendersi se chi ne mette in gioco la logica dovrà confrontarsi con le resistenze che il Secondo annuncio incontrerà dentro la comunità parrocchiale e non fuori di essa. E questo perché esso non è un « rifacimento della facciata », un rinnovamento del look: il Secondo annuncio va a toccare le fondamenta non solo dell’azione missionaria di una parrocchia, ma anche del proprio essere comunità. È perciò sovversivo di equilibri a volte atavici, destabilizza relazioni istituzionali, introduce elementi che fanno ridefinire ruoli e quindi rapporti di potere. Ha bisogno, perciò, di laici, presbiteri, religiosi che abbiano disponibilità ad una maturazione personale e pastorale, che permetta loro di smettere ruoli senza vivere dei traumi e di assumerne altri con la disponibilità ad apprendere.(continua)

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