(tratto da: tratto da un articolo di don Ivo apparso su Lumen Vitae, Revue internationale de catéchèse et de pastorale, Vol LXXII, n. 2 – 2017, pp. 161-174)

Dove abita il Secondo annuncio?
La parrocchia non è necessariamente l’ambiente più favorevole al Secondo annuncio.
Questa mia convinzione è maturata progressivamente attraverso la riflessione sulla categoria di « Secondo annuncio », ma anche grazie all’esperienza che vivo da dieci anni come parroco di una grande parrocchia cittadina, impegnata a dare carne al progetto Secondo annuncio nelle ordinarie azioni pastorali della comunità.
Volendo muovere dal vissuto, secondo la logica propria del Secondo annuncio, intendo motivare questa mia convinzione osservando come la parrocchia, almeno ancor oggi in Italia, si configuri come una realtà che ha una sua identità piuttosto definita, articolata in azioni pastorali che hanno come primo obiettivo quello di custodire la fede dei battezzati, mentre le iniziative missionarie rivolte a chi non fa parte della comunità sono ancora concepite come aperture verso « i lontani », e dunque con un carattere di eccezionalità. Il documento dei vescovi italiani Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, pubblicato già nel 2004, non ha ancora avuto l’incidenza sufficiente a ridisegnare l’identità delle parrocchie del nostro Paese.
La parrocchia, infatti, nella sua struttura istituzionale, si presenta come una realtà « tutta costituita » e non come « una chiesa in via di costituzione » (Ch. Theobald). Il Secondo annuncio non è naturalmente di casa in parrocchia perché esso imprime una dinamica che disarticola l’impianto tradizionale di una parrocchia ed esige una duttilità di strutture, di modelli organizzativi e di ruoli a cui la parrocchia non è abituata e che mette perciò in discussione la sua identità.
La parrocchia non è una struttura caduca, ma la « grande plasticità » di cui parla Evangelii Gaudium richiede davvero una « docilità e creatività missionaria del pastore e della comunità » (EG 28) che si matura in una lotta lunga e perseverante contro le resistenze al cambiamento che l’organismo sociale della parrocchia oppone. Il Secondo annuncio, infatti, provoca la morte di strutture parrocchiali che facevano parte dell’orizzonte condiviso dai membri della comunità e lascia un vuoto, genera un lutto dentro le persone che hanno nutrito la loro fede attraverso le pratiche, le consuetudini, le tappe liturgiche ed insieme esistenziali che ne hanno accompagnato il cammino. Le iniziative che possiamo definire di Secondo annuncio non sempre vengono favorevolmente accolte dai membri di una parrocchia perché provocano uno spiazzamento: disorientano, costringono ad un trasloco, richiedono di abbandonare gli abiti più comodi del vissuto domestico per indossare quelli del pellegrino. In tal senso le iniziative di Secondo annuncio fanno vivere alla comunità parrocchiale una logica pasquale: qualcosa muore, lasciando uno spazio vuoto, ma questo è necessario perché qualcosa di nuovo possa nascere. In termini di quotidiano dialogo pastorale si dice che non possiamo mantenere tutto quello che si faceva ieri ed introdurre nuove esperienze che esprimano una logica missionaria. Sia perché vi è contraddizione tra le nuove esperienze e le consuetudini del passato, sia perché non ci sono le forze per tenere in piedi il vecchio albero per evitarne la caduta rovinosa e impiantare la nuova foresta: non ci sono più operai forestali a sufficienza. Il vino nuovo del Secondo annuncio non può stare negli otri vecchi delle consuetudini di ieri: questa tensione è a volte fortissima in una parrocchia, quando si cerca di vivere quanto intuito, non senza qualche ambiguità, dai vescovi italiani quando affermano: « di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali ».
In altre parole le iniziative di Secondo annuncio ordinariamente innescano un conflitto: tra due stili di chiesa, due stili di evangelizzazione, due modi di abitare la cultura. Le resistenze, di solito sopite, possono venire a galla, anzi è bene che vengano alla luce, perché si chiarisca la posta in gioco: quale parrocchia desideriamo essere? La comunità che cura la fede di chi da sempre la abita o la comunità che mette a rischio se stessa perché si apre al mondo? E’ profetica e quindi spiazzante l’indicazione di Evangelii Gaudium quando al n. 27 afferma: « Sogno una scelta missionaria capace di cambiare ogni cosa perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale più che per l’autopreservazione » (continua).

La parrocchia del “Secondo annuncio”: per una comunità che si rinnova / 2.

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