ARTICOLO SEME DEL VANGELO 13 ottobre 2019 

Il Vangelo di oggi sembra dirci che guarigione e salvezza non sono la stessa cosa. Dieci lebbrosi, dopo l’incontro con Gesù, vengono purificati dalla loro malattia; solo uno di questi però è salvato per la sua fede. Com’è possibile? Eppure tutti e dieci, eseguendo il comando di Gesù, hanno espresso una fede profonda: senza vedere miglioramenti tangibili, hanno accettato di mettersi in viaggio verso la città per andare a presentarsi ai sacerdoti e certificare la loro guarigione. Gesù non li ha nemmeno toccati, ha solo detto loro di far così, e loro l’hanno fatto. Nessuno di noi, forse, avrebbe eseguito un comando ‘alla cieca’ come questo! Tuttavia, questa fede non è sufficiente per la salvezza; permette il ritorno alla vita sociale dopo la pena dell’isolamento, ma non è questo ciò che il Signore vuole offrire. Solo uno tra questi dieci, un samaritano – dunque un escluso per definizione, qualcuno da cui non ha senso aspettarsi qualcosa di positivo – incontra la salvezza, perché nel disobbedire al comando di Gesù fa la cosa più umana e al tempo stesso più difficile: torna indietro a ringraziare.

Questo Vangelo ci rivela in fondo una cosa semplice: nella nostra vita la salvezza non sta nei successi o nella soluzione dei problemi, ma nella forza con cui riusciamo a condividere queste cose. Certo, è già bellissimo sperimentare la possibilità di uscire dall’isolamento, magari dopo un lungo tempo segnato da sofferenza o incomprensione; ma ciò che ci rende uomini salvati è l’incontro con chi ci ha fatto rialzare e la forza di ringraziarlo. Il ringraziamento è apertura del cuore, è riconoscere che la persona di fianco a noi è ciò che veramente conta, è prendere distanza dalle cose in cui siamo sempre immersi in una vita dove tutto è funzionale, è poter fare memoria del dolore e della gioia per la propria storia. È significativo che per dire il ringraziamento il Vangelo usi la parola eucarestia. Celebrare, per noi cristiani, è essenzialmente ringraziare, e forse tante volte lo dimentichiamo, rinchiudendo le nostre liturgie in forme rigide che esprimono tutto, tranne la gioia per la vita nuova che ci viene data in dono.

Chiediamoci dunque: nella mia vita c’è spazio per il ringraziamento? Sono capace di ‘tornare indietro’ dalle tante cose che ho nella testa per dire la mia gratitudine alle persone che mi permettono di vivere, con il loro perdono o anche solo con la disponibilità a fare tanti servizi per me? Oppure va a finire che tutto diventa scontato, sottaciuto, perché in fondo ‘l’altro sa già e non c’è bisogno di parole’? Che sfida rappresenta questa dimensione del ringraziare per la nostra comunità, così abituata a ‘fare eucarestia’?Don Raffaele

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