Un seme di Vangelo (Lc 24, 13-35) – 

Anche noi ci siamo fermati.

Siamo fermi ormai da un po’: i primi si sono fermati il 24 febbraio (chiusura delle scuole) e tutti ci siamo fermati dall’8 marzo. E’ un tempo che si fa lungo, un cammino che diventa pesante.

E anche noi abbiamo il volto triste.

Sorridiamo agli amici o ai parenti che vediamo su skype o su zoom. Sorridiamo, ma non ci accarezziamo, non ci tocchiamo. Prendiamo insieme il caffè solo nel senso che lo beviamo in contemporanea, di qua e di là da uno schermo.

Anche noi speravamo, come i due di Emmaus: speravamo di vivere una Pasqua piena di condivisione e di speranza, speravamo di alimentare i nostri progetti, di ritenere affidabili le promesse della vita, di condividere tante esperienze.

E tanti di noi, come questi due discepoli, sono tornati a casa di corsa, la domenica sera, prima del lockdown: per fortuna l’ultima locanda era ancora aperta…

Questi strani giorni di Pasqua, però, ci portano un Vangelo delicato ed esigente.

Delicato, anzitutto, perché fanno scoprire ai nostri occhi acciecati, che Gesù cammina con noi. Si accosta, sta in silenzio, ascolta lo sfogo, raccoglie le parole del nostro smarrimento.

Esigente, poi, perché quando parla Gesù rimprovera. “Non bisognava che il Cristo patisse…”: come è difficile accogliere queste parole. Non bisognava, non era necessario un tempo di prova, uno spazio di sofferenza?

La terapia di Gesù per i discepoli di Emmaus e per noi è la stessa: raccontare e ricordare. Come abbiamo fatto ieri sera con i membri del Consiglio Pastorale. Abbiamo raccontato e abbiamo ricordato. Allora il cuore ha iniziato ad ardere, allora il freddo, la tristezza e lo smarrimento hanno lasciato posto al calore, alla tenerezza, alla fiducia.

Siamo in attesa che Gesù spezzi il pane: allora gli occhi si apriranno, allora lo riconosceremo con noi lungo i sentieri difficili di questi giorni.

Signore vieni, vieni a celebrare la tua Pasqua con noi.

In attesa che sia di nuovo possibile “spezzare il pane” insieme teniamo alta la speranza, raccontando gli uni agli altri quello che viviamo e ricordando tutto quello che lo riguarda, tutto quello che ci riguarda e ci è stato donato.

don Ivo

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