Vangelo Gv 10, 11-18
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
A queste parole, così intense e cariche di amore di Gesù, la risposta di molti non è positiva. I Giudei, infatti, commentano dicendo alle folle: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo ascoltate?» (Gv. 10,20). Il fatto che Gesù sottragga loro il potere che ottengono dal venire considerati pastori non fa loro molto piacere. Infatti questa decisa affermazione di essere lui il Buon pastore, l’unico pastore, demolisce il potere umano dentro il popolo di Dio e dentro la chiesa. E tale demolizione è sempre e di nuovo necessaria, di epoca in epoca. Occorre anche oggi buttare via dei linguaggi profondamente scorretti, contrari al vangelo. Il Papa, ad esempio, non è il capo della chiesa! Il capo della Chiesa è Cristo e il papa, semmai è un vicario: uno, quindi, che ha un’autorità delegata. Ma questa autorità è tale solo se egli agisce con lo spirito di Cristo, cioè con la sua umiltà e con il suo disinteresse. Non sarà un caso che al primo che ha rivestito questo ruolo Gesù abbia rivolto quel rimprovero severissimo: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio» (Mt 16,23). Se nella chiesa c’è qualcuno che merita il titolo di pastore, è solo colui che dà la vita per le pecore: i martiri, ad esempio, o coloro che hanno davvero amato fino a versare tutta la propria vita. Non bastano i titoli altisonanti, né basta il sacramento dell’ordine, o il ruolo ministeriale affidato ad essere chiamati «pastori»: è solo alla prova dei fatti che si discerne chi è pastore e chi invece è mercenario; perché è pastore solo colui che somiglia a Gesù. E’ colui che dispone della propria vita per gli altri. Colui che rinuncia a sé purché gli altri abbiano la vita. Con la forza della sua parola «Io sono il buon pastore» e non altri, Gesù quindi demolisce una certa immagine di chiesa e sbriciola la supponenza di coloro che amano i titoli, le vesti, la carriera, i riconoscimenti. Solo la guida umile è guida ecclesiale. Altrimenti si tratta di lupi travestiti da agnelli e dietro il buon nome al quale tengono moltissimo e le onorificenze che vanno cercando, li si riconosce molto bene: sono solleciti del proprio bene, non di quello altrui; scaltri a difendere la propria onorabilità, non paladini della giustizia e del bene dei poveri; amici della propria autonomia e del proprio rendere conto a nessuno, non alleati della libertà degli altri; preoccupati di legare le persone a sé, non di renderle libere perché possano camminare verso il Signore.
don Ivo