Le giornate che già si accorciano e il caldo che inizia a cedere segnalano già la fine della stagione estiva e annunciano un tempo nuovo, ancora promettente, ma dal tono marcatamente diverso. Con l’arrivo dell’autunno ci saranno ancora frutti e ancora promesse, ma non sarà né la esuberante scoperta della primavera e nemmeno la rigogliosa ricchezza dell’estate. L’autunno ha un tono più intimo, meno passionale e più riflessivo. 

Anche la vita è fatta di stagioni che si susseguono e che portano doni differenti. Anche nella vita ci sono segni esterni che indicano un cambiamento di ambiente interiore e di passo, di orientamento esistenziale. Ci sono stagioni e stagioni, segnate non di rado da crisi di passaggio che concludono un tempo e ne inaugurano uno nuovo. 

Scrivo mentre quest’oggi sarà celebrato il funerale di colui che è stato il mio padre spirituale per trent’anni. La sua morte segna per me un passaggio di vita, un cambio di stagione. La conclusione di un cammino segnato profondamente dalla sua incisiva azione educativa e l’apertura di un nuovo percorso, caratterizzato dalla gratitudine per questo incontro che ha profondamente cambiato la mia vita e da qualche rammarico per ciò che non ho saputo essere davanti a lui. 

Quando l’ho conosciuto avevo soltanto 19 anni. Ho impiegato tempo a riconoscere in questo incontro la chiamata ad una maturazione esistenziale e spirituale che mi stava attendendo. Solo all’età di 28 anni l’ho scelto come guida e accompagnatore dei miei passi di giovane prete, appena tornato da Roma, dopo gli studi di Scienze dell’educazione e incaricato di un ruolo formativo nel nostro seminario diocesano.

Aveva solo 12 anni in più di me, eppure l’ho vissuto da subito come un padre. Un padre che mi ha donato molto, ma sempre rimanendo in una posizione di discreta distanza, di misteriosa solitudine. Da lui ho appreso la passione per l’educazione dei giovani, la competenza per i colloqui di accompagnamento psicologico e spirituale, il coraggio di abitare la chiesa senza rinunciare alla propria identità anziché rivestire un ruolo convenzionale, il discernimento per interpretare il Vangelo dentro le situazioni di vita e imparare a riconoscerlo già presente come invocazione nella storia delle persone, e non di rado anche come dono inaspettato da riscattare e far crescere.

So che senza questo incontro con lui io non sarei oggi l’uomo che sono. So e non posso narrare quanto questo cammino abbia lenito le mie ferite, rinforzato le mie ginocchia vacillanti, aperto prospettive di coraggio e di creatività, legittimato avventure e progetti – non di rado per molti poco comprensibili! – , fatto crescere la mia vocazione presbiterale e accompagnato passaggi difficili, quando la vita, la Chiesa (il Signore?) mi ha chiesto di abbracciare ciò che non avrei voluto fare. 

Mi ha accompagnato in tutto questo con un fare paradossale: a volte enigmatico, talvolta provocatorio, spesso indicando mete che non riuscivo proprio a vedere, sempre testimoniando una fiducia e un incoraggiamento fatto di parole talmente sobrie e di gesti così impercettibili da costringermi a pensare e ripensare a che cosa mai volesse evocare o indicare. 

Insomma: non è stato nemmeno facile, ma so che non vorrei rinunciare alla stagione vissuta grazie a lui. 

Ciò che sono diventato negli anni – grazie alle tante esperienze vissute e ai tanti e tanti incontri molto significativi e alle scelte che ho compiuto – non è, credo, ciò che lui si aspettava da me. Ma un figlio non è mai quello che il padre desidera o pensa. 

Lo saluto anche qui, con questa comunicazione intima a voi, che siete membri della nostra comunità parrocchiale di san Pio (e di quella di san Lazzaro) per un motivo preciso: so che per tanti di voi avere un “parroco-non parroco” non è un’esperienza agevole, facilmente comprensibile. Ma ciascuno di noi è anzitutto e soprattutto “se stesso”, un mistero della fantasia di Dio e un’avventura unica, irrepetibile. Tra le tante cose che ho ricevuto in dono da lui c’è anche questa consapevolezza.

Lui è stato capace di essere se stesso. Così coraggioso che tanti non l’hanno capito. Io, in questa stagione nuova che si apre, spero di esserlo a mia volta. Più di quanto non sia riuscito fino ad ora. Ora che non c’è più percepisco l’invito ad essere ancora più libero, se ne sarò capace, dalle attese e dai giudizi. E fedele – con l’aiuto di Dio – a quella unicità che mi è propria e che, per ciascuno di noi, è la nostra vera bellezza.  don Ivo

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