Sono queste le parole che hanno echeggiato nelle nostre orecchie per tutta la permanenza al Sermig. Siamo partiti il 2 gennaio con il treno: assonnati, ancora con le pance piene dalle feste e con tante domande su cosa saremmo andati a fare per 4 giorni all’Arsenale della Pace. Il Sermig – Servizio Missionario Giovani – è nato nel 1964 da un’intuizione di Ernesto Olivero e da un sogno condiviso con molti: sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani cercando insieme a loro le vie della pace. L’Arsenale era un’antica fabbrica di armi in disuso, il lavoro gratuito di tanti, soprattutto giovani, lo ha trasformato in una profezia di pace. E’ una casa aperta a chi cerca un soccorso: madri sole, carcerati, stranieri, persone che hanno bisogno di cure, di casa, di lavoro. E’ un luogo di preghiera dove chiunque può sostare, incontrare il silenzio e Dio. Dai SI di giovani, coppie di sposi e famiglie, monaci e monache è nata la Fraternità della Speranza che abita l’Arsenale, accoglie i bisognosi e accompagna gruppi di giovani e famiglie in campi di lavoro e sensibilizzazione. Ad accoglierci è Marco, studente 26enne di canto che ha deciso di entrare a far parte della Fraternità e si occupa in particolar modo del Laboratorio del suono presente nell’Arsenale. Le nostre giornate iniziavano alle 6.30 con colazione, preghiera e successivamente divisione in gruppi. Eravamo 300 giovani provenienti da tutta Italia. Durante la mattinata facevamo laboratori nei quali ci venivano presentate le attività del Sermig e si provava con l’aiuto di Marco ad approfondire temi quali accoglienza, pace e Giovani della Pace, Sacra Scrittura, musica e canto, mondialità e restituzione. La parola Restituzione è stata il centro di molti nostri ragionamenti e abbiamo capito che “Restituzione” è condividere tempo, professionalità, cultura, beni materiali e spirituali con gli altri, in particolare con i più poveri, per il loro sviluppo e la loro dignità, concepire la vita come dono e valorizzare ogni capacità umana, pur umile che sia. Dopo pranzo ognuno di noi prendeva servizio nel gruppo di lavoro in cui si era iscritto la sera prima. Abbiamo partecipato alla preparazione delle spedizioni umanitarie (smistamento di vestiti, imballaggio di alimentari, farmaci, cancelleria…); recupero dei materiali scartati per dare valore ad ogni cosa ed abituarci a non sprecare; lavori nella falegnameria per costruire sistemi per riscaldare l’acqua nei paesi Paesi del Terzo Mondo; riordino e pulizia delle accoglienze; servizio alla mensa; doposcuola e attività ricreative per i ragazzi del quartiere presso l’oratorio attiguo al Sermig. La seconda mattina abbiamo conosciuto Ernesto Olivero, con la possibilità di fargli domande e conoscerlo meglio. La prima sera ci hanno proposto una marcia silenziosa per il quartiere. Abbiamo incontrato pochissime persone ma… molta sporcizia e degrado. La seconda sera abbiamo partecipato alla Cena dei Popoli… non ve la raccontiamo perché speriamo che anche voi possiate una volta parteciparvi. Siamo rimasti tutti molto colpiti ed è stata un’occasione per riflettere su come le risorse al mondo siano distribuite in maniera fortemente iniqua. Anche chi non è venuto con noi al Sermig ha potuto seguirci via streaming e condividere con noi quel momento. L’ultima sera abbiamo concluso l’esperienza con un momento di condivisione cantato e ballato con Marco e tutti i ragazzi del laboratorio del suono. È stata un’esperienza davvero nuova per tutti noi. L’attenzione e l’importanza che viene data ai giovani ci ha sorpresi ma soprattutto motivati e ci ha fatto prendere coscienza dell‘importanza del Singolo. La Fraternità del Sermig ci ha aiutato a “tirar fuori” la speranza assopita, non un facile ottimismo ma un concreto atteggiamento di fiducia e di abbandono, come di coloro che – piccoli e poveri – ripongono in Dio ogni loro attesa. Il problema dell’altro che diventa mio, condividere la gioia e il dolore, il bene fatto bene. Sembrano forse una sorta di slogan… sono invece le parole che si respirano all’Arsenale della Pace. Non temete. È possibile! Amati, amiamo. I ragazzi di II e III superiore.
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