Lectio 22 Maggio 2020

Salmo 24 (25)

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Inquadramento e note sul testo

Il brano è la conclusione del Vangelo di Matteo. Dopo la sua passione e la sua morte Gesù appare alle donne e infine, dopo l’intermezzo della corruzione delle guardie da parte dei capi dei sacerdoti, appare in Galilea agli undici. Così si conclude il Vangelo, e in questa conclusione Matteo ricapitola tutto il suo messaggio. Questo finale è la chiave di lettura, il manifesto del pensiero teologico dell’evangelista.

Il racconto è strutturato come un racconto di apparizione, con il vero e proprio incontro, le istruzioni del risorto e la promessa finale. I temi principali sono tre: l’autorità di Gesù che si identifica nelle promesse del Figlio dell’uomo di Daniele, la missione della Chiesa, la presenza del Signore nella comunità. Il carattere è quello di una forte universalità: per quattro volte ricorre il termine “tutto” (tutti i poteri, tutti i popoli, tutto ciò che vi ho comandato, tutti i giorni).

A differenza delle altre apparizioni del Risorto qui l’interesse non è su di lui, ma sui discepoli e sui comandi di Gesù, è un interesse ecclesiale. Si inaugura qui il tempo della Chiesa.

Il vangelo di Matteo si conclude con questo culmine drammatico (e drammaturgico), senza concluderlo realmente. Si lascia spazio alla parusia, che era considerata imminente. Tutto viene ricompreso a partire da questo finale.

Il dubbio e la fede

I discepoli si raccolgono in Galilea, dove Gesù aveva loro indicato. Avevano avuto dalle donne il racconto dell’apparizione di Gesù, e hanno seguito le sue istruzioni. Eppure, quando lo vedono si prostrano davanti a lui, e dubitano. In loro permangono questi due atteggiamenti: da una parte la fede, testimoniata anche dal fatto che hanno seguito le sue istruzioni, dall’altra il dubbio. Queste due dimensioni fanno parte di loro, anche dopo tutto il cammino del discepolato, dopo l’esperienza della morte e risurrezione di Gesù. È una dimensione che fa parte anche di noi. La fede pasquale ammette il dubbio. È a questi discepoli che Gesù affida le sue ultime istruzioni e fa la sua promessa.

Anche noi viviamo una fede mista al dubbio, anche davanti alle “prove” più evidenti, agli avvenimenti più significativi. Come i discepoli non siamo supereroi della fede, non siamo persone certe e convinte al 100% sempre, non siamo esempi di perfetta carità e misericordia. Ognuno di noi porta in sé i propri dubbi di fede, vive le proprie ribellioni rispetto al Vangelo, i propri ritiri e rabbie verso gli altri, tutti viviamo una vita che deve fare i conti con la realtà, che scende a patti con le situazioni concrete… che si discosta da quanto vorremmo/dovremmo essere.

Ma è proprio la presenza e la parola di Gesù che permette di superare il dubbio, è la sua disponibilità ad affidare comunque una promessa e un compito ai discepoli, e a noi, che permette di non fermarsi al lato negativo, ai nostri limiti e alle nostre mancanze, ma di tentare ogni giorno di credere di più, di immaginare una vita e una società più evangelica, di vivere una vita più piena.

C’è un cammino da compiere. Nella vita dei discepoli questo momento sul monte, tra fede e dubbio, era già capitato: nel momento della trasfigurazione di Gesù loro avevano giù vissuto questa dinamica, e trovato la forza di continuare il cammino. E ancora succederà, per loro e per noi. Occorre forse accettare questa commistione  di dubbio e fede, senza paura e senza rassegnazione.

Quali sono le mie incertezze? Quali i miei dubbi nel continuare a camminare evangelicamente?

Il passaggio di consegna

L’ascensione segna anche il passaggio dall’assenza di Gesù come persona alla presenza dello Spirito di Gesù nelle persone: è il tempo della Chiesa. Chiesa che non è coincidente con quelli che vengono a Messa, o che si professano credenti; noi non sappiamo i “confini” della Chiesa. Sappiamo però il nostro criterio di appartenenza: accogliere il Vangelo, credere nello stile di Gesù, assumere il suo punto di vista (su di me, sugli altri, sulla vita). In questo modo si converte il proprio sguardo, il proprio pensiero, e attraverso un diverso modo di vivere diventare credente.

In questi mesi è venuta meno la celebrazione eucaristica… ma forse abbiamo scoperto il Signore presente in tanti altri modi: lo Spirito non si fa ingabbiare dalle celebrazioni. Dove lo abbiamo visto? Forse questo tempo ci ha insegnato anche altri modi di percepirlo. Forse questo tempo ci ha fatto sentire che questa presenza dipende anche da me, dal mio protagonismo – in molte messe si può rimanere spettatori, e così non sentire nulla.

Molte persone ricercano l’eucaristia e sembrano disperate dal non averla ancora: penso che siano persone eccessivamente attaccate ad uno (dei tanti) modi di presenza del Signore, ma non è certamente l’unico! Alcuni hanno riscoperto la bellezza della Parola, altri lo riscoprono nella preghiera personale, altri nella “liturgia domestica”, altri in alcune amicizie che si rivelano più profonde e importanti… quanti modi ha il Signore per essere presente!

Ho scoperto la presenza di Dio in altri modi? In che modo vivo la mia fede: passivamente o attivamente?

Discepoli e maestro

Il cristiano si scopre essenzialmente discepolo. Non sul piano del fare, ma sul piano della relazione. Occorre battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”, occorre immettere in una relazione. E dopo il battesimo l’invito è quello di insegnare ad osservare tutto ciò che è stato comandato.

Il cristiano è inviato ad insegnare, ma rimanendo sempre discepolo, senza mai ergersi a maestro. Il Maestro è Gesù, con le sue parole e con la sua vita. Il cristiano impara da lui e insegna ciò che ha imparato.

Ripenso allora a questo nostro tempo: cosa ho imparato (nella mia vita, e in questi mesi)? Cosa posso insegnare? Posso insegnare solo ciò che ho ascoltato realmente e imparato nella mia vita. Ciò che ho ascoltato-imparato. Forse questo tempo ci ha tolto le “risposte preconfezionate”, lasciandoci un po’ più nudi e veri; forse ci siamo resi conto delle tante parole vane, vuote, che abbiamo sempre detto per correttezza o per necessità, perché la situazione lo richiedeva o perché erano dei discorsi corretti, giusti.

Il Vangelo parla in profondità in questo tempo, alcune pagine si ascoltano di più e si possono comprendere meglio perché le possiamo leggere con una lente diversa – perché la nostra vita è più toccata[1].

Abbiamo abitato il silenzio per imparare a parlare con verità? O almeno ci abbiamo provato?

Rimango dentro alle relazioni, con Gesù e il Vangelo, con gli altri, per imparare a vivere?

[1] C. Bobin, L’uomo che cammina: «I quattro [evangelisti] che descrivono il suo passaggio sostengono che, morto, si è rialzato alla morte. E’ questo indubbiamente il punto di rottura: questa storia che ha molti tratti della luce serena d’Oriente, assume qui una dimensione incomparabile. O ci si separa da quest’uomo su questo punto, e si fa di Lui un sapiente come ce ne sono stati migliaia, pronti magari ad accordargli un titolo di principe. Oppure lo si segue, e si è votati al silenzio, perché tutto ciò che si potrebbe dire è allora inudibile e folle. Inudibile perché folle. L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita cosi abbondante da inghiottire perfino la morte. Coloro che ne seguono le orme e credono che si possa restare eternamente vivi nella trasparenza di una parola d’amore, senza mai smarrire il respiro, costoro, nella misura in cui sentono quel che dicono, sono forzatamente considerati matti. Quello che sostengono è inaccettabile. La loro parola è folle e tuttavia cosa valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei secoli? Cos’è parlare? Cos’è amare? Come credere e come non credere?

Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana.».

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