Omelia VI domenica di Pasqua A – Gv 14, 15-21

Tornare al centro

“A me questa emergenza sta facendo un brutto effetto… Non so se riuscirò a tornare alla normalità. Soprattutto a quella normalità fatta di riunioni, incontri, discussioni…. su cose che ora appaiono piuttosto insignificanti. Anche mio marito dice che la cosa che sente più necessaria è un servizio per gli altri. L’emergenza ci ha fatto vedere che alla fine conta sopravvivere e aiutare gli altri a sopravvivere. E che in certi momenti può non esserci un contesto che ci sostiene e siamo chiamati a fare scelti individuali, soli con la nostra coscienza. Stiamo pensando che, in fondo in fondo, da questo periodo di inattività parrocchiale, non ne usciamo poi così distrutti. Ciò che era essenziale non ci è mancato, siamo riusciti a coltivarlo (anche grazie a certe omelie…). Ciò che è mancato è l’incontro con gli amici, il ritrovarsi, ma non la fede”.

Ricevo questa lettera da una persona che ha vissuto da sempre una vita di fede molto intensa e che da sempre si è impegnata nel servizio ecclesiale.

Che cosa è rimasto dopo il lockdown anche parrocchiale causato dal Coronavirus?

Dietro alla paura che la fede sia stata travolta perché non se ne sente la mancanza, c’è in realtà solo lo smarrimento per la perdita di una certa forma di cristianesimo: quello fatto di riunioni, incontri, discussioni…: una forma di cristianesimo che in questa crisi e a causa dell’allontanamento da queste pratiche mostra tutta la sua vacuità.

La fede non è stata travolta: rimane un essenziale, che è emerso proprio grazie all’inattività parrocchiale. E questo essenziale è l’ascolto, “grazie a certe omelie”, scrive l’autrice e il servizio agli altri, per “aiutarli a sopravvivere”.

Questa testimonianza è la sintesi del Vangelo di questa domenica.

Un Vangelo nel quale Gesù ci dice “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.

Non c’è nient’altro da fare. Soltanto amarlo, averlo a cuore, custodirne l’amicizia. Allora faremo ciò che facciamo in una relazione importante e forte: osserviamo la parola di colui/colei che amiamo, ne facciamo tesoro, la viviamo in noi e vi portiamo obbedienza.

Ecco la fede. Ecco il nocciolo della fede.

Il resto è tutto molto molto relativo. La vita parrocchiale, le infinite riunioni e perfino l’eucaristia.

Sì, so che scandalizzerà qualcuno quello che dico. Ma perfino l’eucarestia è secondaria.

Secondaria alla relazione con lui e tra di noi.

 

  1. Lo scrive un vescovo…

In questa ansia, in questa fretta di tornare all’eucarestia si sono levate molte voci autorevoli a ricordare che il centro della fede non è il rito, non è assolvere il precetto: tra di essi i gesuiti, su tutti attraverso la loro rivista “La Civiltà Cattolica” in svariati interventi.

E anche un vescovo, che – scrivendo alla sua diocesi il 13 maggio – rimanda l’apertura delle celebrazioni con il popolo al 25 maggio, scrive: “Chiedo fermamente a tutti voi (presbiteri), in questo periodo, di spendere il vostro tempo e le vostre energie per farvi sentire presenti alla Comunità.  Ciò vuol dire prendere il telefono e telefonare a tutti gli ammalati, agli anziani che conoscete e soprattutto a tutti gli Operatori Pastorali. So che molti lo stanno facendo. Purtroppo alcuni non hanno fatto nulla. Amici, questo è il tempo delle relazioni; questo è il tempo in cui i cristiani, e noi ministri per primi, dobbiamo costruire relazioni per aiutare la fatica della gente. Vi chiedo con fermezza di prendere il telefono e occupare questi giorni a telefonare ripetutamente, semplicemente per dire: ‘Ti penso, ti ricordo nella preghiera, ti porto in cuore’. Un sacerdote non può presiedere l’Eucaristia se non cura le relazioni. Altrimenti l’Eucaristia diventa artificiosa e formale (tanto più con queste norme). Questa è una cosa seria. Se vengo a sapere che in qualche parrocchia non si farà nulla in questa direzione (cura delle relazioni e attenzione ai poveri), in tale parrocchia posticiperò ulteriormente l’inizio della celebrazione della Messa con il popolo”.

Ve lo sareste aspettati da un vescovo?

 

  1. Senza messa non siamo orfani

Senza messa non siamo quindi orfani.

Siamo orfani solo se non amiamo Gesù e non amandolo non gli permettiamo di venire a noi con la sua relazione di amicizia. Perché lui non ci lascia soli, ma chiede anche a noi di non lasciarlo solo. E per non lasciarlo solo dobbiamo amarlo, ascoltare la sua parola e osservare ciò che lui dice e insegna.

Io temo, lo dico proprio chiaro, che non accettiamo di essere orfani dell’eucarestia perché il rito rassicura automaticamente e ci dà la percezione che viviamo la fede perché lo frequentiamo. Esimendoci, così dalla fatica personale di cercare Gesù nell’ascolto, nella pratica concreta dei suoi insegnamenti, nell’esperienza faticosa, ma appassionante, di vivere come lui insegna, secondo il suo stile, il suo gusto, il suo sentire la vita, la sua follia.

Non siamo affatto orfani perché non andiamo a messa. Siamo orfani se non lo amiamo. Se non viviamo quello che lui ha detto e fatto. Questa emergenza potrebbe a noi fare un bell’effetto…

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