Emmaus, di Janet Brooks-Gerloff
Dal Vangelo secondo Luca

13 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14 e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19 Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23 e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25 Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26 Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 

27 E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 

28 Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29 Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32 Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33 Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35 Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Avrebbero voluto divorare la strada, essere già a casa, dimenticare tutto in fretta. Come non capirli!

A volte si sente la voglia di rintanarsi, come i discepoli nel cenacolo. Altre volte prevale la voglia di fuggire, come i due che se ne tornano a Emmaus. I modi per rintanarsi o per fuggire sono tanti: io quali preferisco?

Nonostante ciò, Gesù si accosta e cammina al loro fianco. I due discepoli non lo riconoscono. La loro mente è confusa, i loro sguardi sono offuscati, il loro animo è pieno di raggelante tristezza.

E’ veramente straordinaria la capacità di Gesù di aiutare le persone a tirar fuori quello che abita il loro cuore, a dare voce alla tristezza, ai dubbi, alle paure, alle delusioni… Chissà cos’avrà detto di speciale da trovare subito la loro fiducia? Le frasi riportate dal vangelo non ci dicono un granché. Però Luca ci dice che quel semplice “che cosa?” funziona come un cavatappi che stura quel che portano nel cuore. Evidentemente l’empatia trasmessa è tale da rendersi pienamente affidabile.

Si fermano, quindi, e vuotano il sacco. Si fermano: dedicano cioè del tempo a dialogare, senza più preoccuparsi di arrivare in orario. Fermarsi significa appunto decidere di dare tempo e spazio a chi hai incontrato. E’ per guardarlo in faccia. Fermarsi vuol dire consegnare all’altro il proprio volto, anche se è triste e non è di buona compagnia. E c’è tanta amarezza nelle parole di Cleopa.

E’ una tristezza che nasce da una delusione: “Speravamo…”.

“Speravamo” è un’espressione che da sola dice tante cose: la nostra speranza è in crisi. Sì, speravamo di farcela bene, speravamo che durasse poco, speravamo non fosse così pesante, speravamo…

La crisi della speranza è la cifra che interpreta la delusione dei due discepoli. Forse coglie anche un aspetto della nostra vita, personale, comunitaria, ecclesiale, sociale… L’assenza di speranza spegne l’attesa del futuro, imprigiona il cuore nella rassegnazione e riempie di tristezza i vicoli ciechi della mente.
Gesù inizia a farsi carico della loro vita, chiusa in questa gabbia di tristezza. Apre una breccia nel loro cuore rinsecchito, per deporvi le sue parole benefiche come acqua fresca che irriga terre riarse, balsamiche come unguento che lenisce ferite che fanno soffrire.
Proprio di sofferenza parla quel forestiero: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. Parla della sofferenza del Cristo. Ma anche della loro. L’annuncio pasquale è tale se coglie la persona lì dove si trova, nel passaggio di vita che sta vivendo. In questo caso, la sofferenza.

E’ quel che farà anche Filippo, che, per parlare di Cristo all’eunuco, si riferisce al Servo di Dio, a cui è stata negata una discendenza. L’eunuco si sente riconosciuto e sanato nella sua condizione di infecondità, e chiede di essere battezzato in Cristo.

L’annuncio della risurrezione trasforma se incontra le persone nella loro reale condizione. Se no è solo il racconto corretto, ma triste e sterile, del ritrovamento della tomba vuota.

Quindi il viaggio riprende, ma col passo lento di chi ascolta. E così si fa tardi; arrivano che sta già per imbrunire. Ma Gesù accenna a proseguire. Non vuole forzarli. Aspetta un invito: “Resta con noi, perché si fa sera…”. Egli entrò per rimanere con loro.

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Non c’è dubbio che la sequenza dei verbi rimandi all’eucaristia. E non v’è dubbio che Luca voglia dirci che la presenza invisibile del Risorto continua nel segno del pane spezzato. Però, non possiamo pensare che l’abbiano invitato per dire messa. La lettura eucaristica del testo non deve farci dimenticare che prima di tutto si tratta di un invito a prolungare l’incontro.

Questo desiderio di prolungare l’incontro è il momento della svolta. Finora l’atteggiamento dei discepoli è stato solo passivo, o al massimo reattivo agli stimoli di Gesù. Ora c’è finalmente un desiderio che si esprime. E’ questo desiderio che permette alla relazione di permanere. E’ come se volessero tenere acceso quel fuoco misterioso che già ardeva nel loro cuore, mentre lungo la strada Gesù spiegava le Scritture.
Improvvisamente quella notte non è più notte, perché c’è un fuoco che la rischiara.

Mi torna in mente la veglia pasquale e il fuoco che infrangeva il buio della notte. E’ stato molto suggestivo quel fuoco, ma soprattutto evocativo di una fiamma che aveva bisogno di essere riaccesa, riattivata. Un fuoco infatti si può anche spegnere.

Questo tempo particolare porta come insidia proprio lo spegnimento. Se non ravviviamo il fuoco, prendono sempre più spazio torpore e passività, accompagnate da qualche tono depressivo.

Chi può riaccendere il fuoco e farci ripartire, anche se sono calate le tenebre?

C’è una parola da riascoltare: è la parola che racconta come le nostre ferite sono state sanate e che ci ricorda che ancora oggi possono essere guarite.

Ma prima c’è da rispondere alla domanda di Gesù: “Che cosa è accaduto in questo tempo? Perché sei così triste? Raccontami la tua delusione”.

Quale tristezza o spegnimento ho vissuto o vivo in questo tempo?

Quale parola ha riacceso il fuoco? Nella voce di chi ho riconosciuto la parola del Risorto?

Come vivo la mancanza e l’attesa dell’eucaristia?

Spezzare il pane potrebbe acquistare per me un significato nuovo? Quale?

I discepoli di Emmaus, Janet Brooks-Gerloff, 1992 – Kornelimünster, Aachen

Un operatore della Caritas di Düsseldorf, dopo aver visto questa tela nel monastero benedettino di San Cornelio, ad Aquisgrana, così ha scritto: È un’ immagine diventata molto importante per me, a motivo del mio lavoro presso l’ospizio della Caritas di Düsseldorf, una casa di accoglienza per malati terminali che vengono accompagnati nell’ultimo tratto del loro percorso di vita, affinché possano viverlo con dignità e serenità fino al trapasso. L’immagine esprime ciò che ci tocca da vicino: accompagniamo qui i moribondi come i familiari, restandogli accanto, adattandoci al loro ritmo, mentre si confrontano con la caducità della vita e la morte. Cerchiamo di trasmettergli il fatto che non sono soli sulla strada che stanno percorrendo: siamo con loro, per loro. Insieme affrontiamo le paure e le incertezze sulla vita che li attende… Forse per i nostri ospiti Dio è avvertibile solo attraverso contorni molto sottili; non siamo in grado né abbiamo bisogno di dipingerlo compiutamente; ma ancora possiamo trovare un sostegno in lui, come evoca, nel quadro, la mano destra del personaggio centrale che è appoggiata sulla spalla della figura disegnata solo nei contorni … un gesto per trovare in questo contatto il sostegno e il senso della direzione da seguire … Forse qualcuno può trovare sostegno e forza in qualcos’altro, che non è meglio descrivibile, ma si può avvertire solo nei contorni”.

            Sono parole che commentano egregiamente il dipinto dei Discepoli di Emmaus realizzato nel 1992 da Janet Brooks-Gerloff: si tratta di un’artista americana, madre di famiglia, nata nel Kansas nel 1947 e morta in Germania nel 2008, dopo una grave malattia, proprio nel luogo in cui ha lasciato questa sua creazione, cioè ad Aquisgrana, dove da pochi anni aveva stabilito la propria dimora ed il proprio laboratorio.

Il nostro dipinto è stato pensato per essere collocato in fondo ad uno dei lati del grande chiostro luminoso del monastero: la comunità monastica benedettina passa da questo luogo quando si raduna in chiesa al suono della campana. L’occhio dei monaci si fissa sulla parete del corridoio, prima di svoltare a destra e prendere una nuova direzione verso l’ingresso dell’edificio in cui si incontra il Signore nel segno del Pane Eucaristico. In tal modo, in questo spazio di transito, ciascuno può ritrovare qualcosa di sé nell’immagine dei discepoli, che sono in compagnia del Risorto sulla strada di Emmaus.

La scena, ispirata alla famosa pagina evangelica di Luca 24, mostra il cammino di tre figure, i due discepoli e il loro misterioso compagno di viaggio. Chi guarda l’opera, è posto dietro di loro, come se ne seguisse le orme: non si vedono infatti i volti, ma solo le spalle. I tre ci precedono e, di conseguenza, la prospettiva scelta assume il valore di un invito ad andare con loro e con lo sconosciuto pellegrino, per condividere domande, ascoltare storie ed entrare in dialogo con Cristo che offre una parola di vita.

Le ampie vesti dei due discepoli sono nere, come l’abito dei monaci e come il colore cupo dei pensieri di questi due erranti, di allora e di oggi. Solo dei piccoli tratti di bianco creano dei giochi di luce che illuminano leggermente la silhouette. Geniale è l’idea della pittrice di tratteggiare con il profilo il terzo personaggio rendendolo trasparente, senza peso: il dettaglio ci ricorda che il nostro sguardo non riesce ad afferrare la sua nuova identità pasquale. Questi due uomini sono in conversazione con lui, ma i loro occhi sono ancora “in attesa”, incapaci di riconoscerlo, anche se il loro cuore si sta riscaldando

I due occupano solo la metà sinistra della composizione mentre il Signore che li accompagna sta al centro, costituendo così il fulcro dell’immagine: è lui infatti la Via, la Verità, la Vita! Il discepolo che sta più all’esterno, si gira col volto e col corpo verso il compagno e verso lo straniero. Sembra quasi che il suo vedere abbia già trovato una nuova direzione/conversione, e che i suoi passi indirizzino la ricerca verso l’incontro col Signore. I tre stanno passando attraverso un arido paesaggio collinare, senza punti di riferimento. In lontananza, sulla destra dell’orizzonte, sembra avvicinarsi un temporale … o forse una pioggia ristoratrice che farà rifiorire i deserti, anche quelli interiori, come se il paesaggio fosse uno vero e proprio stato d’animo.

Janet Brooks-Gerloff, riprendendo l’iconografia più antica, non ha dunque rappresentato il culmine della narrazione lucana, cioè il momento del riconoscimento del Signore, come hanno fatto gli artisti degli ultimi secoli. In questo dipinto non è ancora rivelato che cosa attende i due uomini smarriti alla fine del loro percorso, mentre si evidenzia l’importanza del cammino.

Insieme a questi due personaggi anche noi possiamo scoprirci discepoli erranti ma accompagnati dal Risorto. Lui ci si accosta, come vediamo nel dipinto, camminando alla pari senza bisogno di mostrare l’etichetta o il fulgore della sua gloria. Ci accompagna senza paternalismo, anzi: chiede, si lascia istruire. La sua è una parola che ricorda la Storia della Salvezza ed aiuta a fare memoria di ciò che c’è già nel cuore dei discepoli, nella loro storia personale. In questo accompagnamento il Risorto offre senso; spiega scaldando il cuore, accendendo il desiderio. Egli rimane fedele e non si nega alla richiesta:“Resta con noi”. Avviene una inversione: sono i due ad ospitare Gesù, ma subito dopo è Gesù che li accoglie nella sua tavola e nella sua benedizione.

L’invocazione non è immaginare di programmare una risposta, ma è lasciarsi accogliere dal Signore, ospitare da una presenza che non è invisibile perché evanescente, ma perché è oltre … perché apre la strada. È visibile perché si dà nel segno, ma è sempre oltre, perciò invisibile. Nella sua ospitalità il Signore ci istruisce tramite il segno su ciò che è debordante. Così, si rivela vero compagno, colui che è “cum-panis”, cioè che mangia lo stesso pane, condividendo gesti feriali, ordinari, ma densi di significato. Poi scompare, come ogni autentico accompagnatore deve saper fare per permettere all’altro di camminare con le sue gambe e di tornare alla sua vita, alle sue relazioni con una buona notizia da annunciare. Questo è il frutto dell’incontro: un’esperienza pasquale, di passaggio dalla depressione del “volto triste” alla capacità di iniziativa dinamica, coraggiosa.

Qui dentro ritroviamo certamente anche il vissuto personale dell’autrice che ci ha lasciato davvero una bella omelia a colori. Siamo grati a Janet Brooks-Gerloff che si è aperta alla parola del Vangelo, l’ha accolta nel suo cuore con ammirato stupore e l’ha interpretata in questa forma ispirata: guidata dal desiderio dei committenti monaci e dalla sua esperienza di vita ha sviluppato una personale meditazione sulla “bella notizia” e ne ha restituito all’umanità la propria testimonianza con il linguaggio della bellezza.

Emmaus 2020

Lectio divina del 22 aprile

Mostrati, Signore!

A tutti i cercatori del tuo volto,
mostrati, Signore;
a tutti i pellegrini dell’assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina

con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;

e non offenderti

se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati,

poiché si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.

(David Maria Turoldo)

 

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