L’Occidente già da tempo ha perso la fede. E anche la speranza.

Non penso alla secolarizzazione che ha marginalizzato la fede e il ruolo centrale della Chiesa.

Non mi riferisco a quella sottile disperazione che permea la nostra società liquida, cioè la percezione del futuro come minaccia invece che come promessa.

Noto che i primi a mancare di queste virtù siano proprio gli ecclesiastici venditori di facili consolazioni, i devoti con l’amuleto sacro sempre a disposizione.

La crisi che stiamo vivendo ha fatto emergere tutto il repertorio dell’ottimismo di maniera. Dovremmo, invece, prendere seriamente la possibilità che non tutto vada bene, perché la realtà è questa.

Detto in poche parole, la speranza senza realismo si chiama illusione.

Il realismo è l’aderenza alla realtà. La realtà non è, per definizione, quel che voglio o che mi piace. E’ quel che è. E a volte è dura. Dura come la roccia. E non è mai piacevole atterrare repentinamente su di essa. Questa, in effetti, è la disperazione. Alla realtà è bene aderirvi costantemente.

Aderire alla realtà vuol dire essere presenti all’esistenza, dire sì alla vita così com’è, restare fedeli alla terra, vivere una spiritualità incarnata.

Aderire è un termine che richiama la fede. In ebraico infatti, uno dei verbi che esprime al fede è ‘aman, che significa stare saldi, aderire saldamente.

Dobbiamo dire il nostro amen alla realtà, e piegare umilmente le ginocchia davanti ad essa.

E’ idolatria? Sì, lo sarebbe, se dimenticassimo che il mondo è creatura di Dio. Non ci si inginocchia davanti alle creature, ma solo davanti al Creatore. Ma è stato Lui a gettarci in questo mondo concreto.

Mentre il suo Figlio amato ci ha ricordato che siamo nel mondo. Certamente lo ha detto per ammonirci di non essere del mondo, cioè di non diventare mondani. Mondani no, ma terrestri sì. Terrestri vuol dire fragili. Mondani significa essere vuoti, effimeri, insignificanti.

Temo che le nostre prediche siano poco terrestri e troppo mondane, non perché non nominano Dio.

Anzi lo nominano anche troppo! E – oserei dire – lo nominano troppo spesso invano, cioè in modo vuoto. I nostri discorsi consolatori scivolano frequentemente nella vanità della vacua oratoria.

Una speranza venduta a buon mercato è effimera.

#andràtuttobene senza responsabilità è una pia illusione.

#celafaremo senza impegno è uno slogan inconsistente.

“Chi ci separerà dall’amore di Dio?” è una frase vera, solo se include anche l’amore del prossimo.

Dobbiamo stare coi piedi ben piantati per terra, per poter guardare il Cielo.

Dobbiamo aderire alla terra per imparare a desiderare il Dono celeste. E il Dono di Dio è lo Spirito, non il miracolo!

Non possiamo evadere dal concreto se vogliamo vivere e offrire una speranza vera e non fittizia.

Dobbiamo riconoscere la nostra fragilità, se vogliamo davvero credere alla Grazia.

L’Occidente cristiano è a un bivio. Non è il primo (ricordate la Shoah e la domanda su dov’era Dio?) e non sarà l’ultimo. Ma se i cristiani non aderiranno alla realtà, svaniranno come fumo e non avranno nessuna speranza spendibile per il mondo.

Cosa significa oggi, nel tempo della pandemia, guardare il Cielo, restando coi piedi per terra?

La risposta non è semplice, né già scritta. La dobbiamo trovare insieme.

Inizio il compito elencando qualche atteggiamento che, a mio avviso, un credente oggi dovrebbe assumere per aderire alla realtà.

Assumere la legge fondamentale della vita: che si nasce e si muore.

Abitare il dramma della storia, e smettere di raccontare sempre e solo il lieto fine.

Accettare che noi credenti, rispetto alla durezza della realtà, non abbiamo nessuna esenzione.

Rinunciare a qualsiasi privilegio: non si capisce perché un cristiano possa sentirsi svincolato dall’osservanza delle leggi che impongono oggi sacrifici e rinunce, comprese quelle di non poter celebrare la Pasqua; e che proprio i ministri sacri, in tempi così calamitosi, non condividano con il loro popolo il digiuno eucaristico.

In questo tempo di paura possiamo comprendere che sperare nella promessa di Dio non può non includere la lotta contro il male, ma soprattutto la lotta per custodire la fraternità nella compagnia degli uomini.

Forse potremo persino riscoprire cosa significa sperare nel Paradiso, ma solo se saremo stati solidali con gli altri uomini.

Infine, in questo tempo in cui vengono soppresse tutte le attività non essenziali, scopriamo che la chiesa è una tra le attività non essenziali; vive e può continuare a vivere solo nella sfera della gratuità. Potrà ancora donare speranza al mondo solo aderendo alla realtà e accettando la propria inutilità.

 

don Andrea Garuti,
parroco di santa Caterina

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