Seme di Vangelo

La settimana scorsa Gesù ha parlato dell’importanza della preghiera, in particolare della preghiera quando sopraggiungono momenti di stanchezza, di delusione e rassegnazione; proprio in quei momenti è più importante pregare. Con questa premessa, Gesù “disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti”. Il fariseo viene presentato in un atto di preghiera: ringrazia Dio (fa eucaristia) perché è separato, altro, rispetto alle persone che ha accanto e che disprezza. Egli ci appare come contraddittorio: come può ringraziare Dio senza accorgersi dell’odio che prova per le persone? Guardando bene, il fariseo non è in un dialogo con Dio: è vero che si rivolge a Dio, ma la sua condizione è frutto del suo impegno a essere un pio uomo religioso. Non espone ciò che ha nel cuore, ossia il suo disprezzo per gli altri. Crede di pregare, in realtà sta facendo un elogio di se stesso. È una preghiera falsa: non ha ricevuto niente da Dio, non chiede niente a lui; è un soliloquio inutile e nocivo, in quanto maschera la vera emozione che lo abita.

Il pubblicano ha poche parole: “abbi pietà di me peccatore”. Alcuni gesti dicono del suo atteggiamento: si ferma a distanza, non osa alzare lo sguardo; è una persona che prova vergogna, è consapevole delle proprie mancanze e inadeguatezze, e con queste cerca di avvicinarsi, cerca una relazione. Poche parole, pochi gesti, ma che nascono davvero dal cuore e che cercano realmente un incontro, esprimendo un appello e un affidamento a Dio.

Com’è la nostra preghiera? Parte dai sentimenti autentici? Rimane un soliloquio o è desiderio di incontro e di dialogo?

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