Omelia del 14 luglio 2019 – XV C

Lc 10, 25-37: Tener lontano il povero – tener lontano Dio

1. Vicino/lontano

Tenersi lontano. 

Ecco il proposito del sacerdote e del levita che vedono l’uomo spogliato e percosso dai briganti. 

Tenersi lontano, magari anche pensando: “poveraccio”… “chissà perché sarà capitato a lui”… “avrà qualche parente o amico che interverrà”… “del resto io non ho tempo”. 

Tenersi lontano forse non per cattiveria, ma perché ci sono altri obiettivi, priorità che premono, appuntamenti più importanti. 

Tenersi lontano… non è affatto incomprensibile la condotta del sacerdote e del levita, è del tutto simile alla nostra.

Per comprenderla basta pensare a quanto ci diciamo nei confronti dei migranti, che annegano nel mediterraneo: “che cosa centro io? Non ho certo gli strumenti per aiutarli… avrei colpa io se sono dovuti scappare dalla guerra, se vengono detenuti in Libia in lager disumani, se i trafficanti di uomini li gettano su barconi insicuri, se moriranno in mare?… no, io non centro, io sono innocente e sono anche dispiaciuto…”. 

Davanti a questo atteggiamento che è nostro, come del sacerdote e del levita, la parabola di Gesù rovescia la lettura delle cose. Il problema non è “chi è il mio prossimo (il mio vicino)”, ma “chi è stato prossimo, chi si è fatto vicino?”. Gesù aiuta il dottore della legge che lo interroga a rovesciare il punto di vista e aiuta noi: “Il prossimo non esiste già – scriveva il Card. Martini – . Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti ad un uomo, anche davanti ad un forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, che mi approssima”.  

E’ chiaro che se l’altro è mio fratello, mio figlio, mia moglie… reagirei diversamente! E’ la vicinanza la questione vera: se quella donna divorziata è mia sorella, il mio giudizio su fare o non fare la comunione non è lo stesso che se fosse una estranea. Se quel giovane che si dichiara omosessuale è mio figlio, è evidente che la mia comprensione delle sue scelte è differente che se si tratta di qualcuno che conosco solo di vista. 

Non basta essere prossimo di qualcuno per amare. Occorre “farsi prossimo. Allora cambierebbe il punto di vista, l’angolatura di osservazione. E cambiando lo sguardo cambierebbero i sentimenti, le decisioni, le scelte, i gesti… 

La vicinanza: è una scelta da osare, non una condizione da cui partire per amare o non amare.

2. La cultura del “medesimo”

Noi oggi viviamo nella “cultura del medesimo”. 

Una cultura preoccupante… perché tendere all’esclusione dell’altro, al suo allontanamento, significa sollecitare le tendenze xenofobe e razziste, tendenze che si risolvono in una specie di autismo storico-sociale, che crea il “regno dei medesimi”: un ideale auto-regressivo di isolamento e di autosufficienza, come se ognuno bastasse a se stesso…

“Prima gli italiani”, non è tanto o non solo una questione politica, piuttosto diventa in fretta una questione culturale e sociale: prima gli italiani si trasforma in facilmente in “solo gli italiani”… e si trasforma presto in “prima gli emiliani”… in un restringimento sempre più autistico… dove l’affermazione del proprio diritto assume i contorni della difesa dalla minaccia che anche l’altro pretenda di averne uno, fino a negargli anche il diritto di vivere.

Il racconto ci presenta con chiarezza che il terrore che abbiamo che, implicandoci con l’altro, perderemmo la nostra identitàè eccessivo: il buon samaritano, una volta aiutato il malcapitato, continua a perseguire il proprio obiettivo e a fare gli affari suoi… accetta di vedere, dà spazio alla compassione, si fa vicino, si fa carico del problema spende tempo e denaro, ma poi prosegue per il suo cammino. 

Amare e implicarsi non significa “perdersi del tutto”, ma soltanto accogliere la storia e non vivere come se il mondo attorno a noi non esistesse, come se fosse possibile vivere in un recinto chiuso di auto-preservazione. 

I cristiani, anche solo perché appartengono ad una comunità universale, fatta di uomini e donne che provengono da ogni lingua, popolo e razza, non possono accettare la “cultura del medesimo”, né, tantomeno, smentire l’appello del Vangelo a “farsi prossimo”.

3. Rimanere umani per diventare divini

Tener lontano il povero, ignorarne la presenza, negarne il diritto alla vita e alla dignità, significa perdere contemporaneamente sé stessi e Dio. 

Tener lontano il povero significa tenere lontano Dio dalla propria vita: Gesù lo narra con evidenza nell’altra famosa parabola del giudizio (Mt 25): “ero forestiero e mi avete accolto”… altrimenti “Via da me, voi tutti operatori di iniquità”. “Operatori” (sembra paradossale) di ciò che non avete fatto, perché non mi avete riconosciuto. Sì, il peccato di omissione esiste ancora e si nasconde, dietro questa “cultura del medesimo” che vorrebbe che il prossimo fosse solo quello che è già vicino. O che io debba farmi prossimo solo per i miei, per i nostri. 

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