Per ascoltare si fa così: prima ci si deve muovere, si cammina molto, in silenzio. Poi si arriva in un luogo che chiamano bosco, dove ancora non si riesce ad ascoltare bene. Allora ci si inginocchia. Ci si lascia toccare dalla terra. Per ascoltare si deve sempre approdare in una terra. Altrimenti è un ascolto finto: si chiama sentire. È un ascoltare sordo. Sento e penso a me. Quando si è approdati nella terra con le ginocchia e le mani, si prende il mantello o il cappuccio e si fa casa sopra di sé. Casa piccola. Dimora vacillante. Poi ci si curva ancora di più, si atterra. Allora, e solo allora, si può iniziare ad ascoltare. Quando ascolti, ciò che ti circonda ti avvolge e crea casa. Vuoi solo restare. La chiamano preghiera questa: ascoltare Dio e sentirsi come a casa di un amico. O ascoltare un amico e sentirci come a casa di Dio. Non è facile: prima si deve camminare un po’ insieme, poi si entra nel suo bosco, ci si inginocchia e si fa casa, con l’amico appunto. Allora, e solo allora, si approda nella sua terra. E lì si vuole restare. (“Un uomo”, Stefano Nava)

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