ARTICOLO SEME DEL VANGELO 26 maggio 2019 (Gv 14, 23-29)

Sono Vangeli difficili quelli che la liturgia ci propone in queste domeniche: forse astratti, troppo aulici, sicuramente ripetitivi. Giovanni è così, lo sappiamo, ma ogni volta che ci imbattiamo nelle sue parole – specialmente questi discorsi di addio di Gesù ai discepoli – rimaniamo spiazzati. Come interpretare il brano di questa domenica?

La cosa migliore è partire dall’inizio, ossia dalla domanda che precede immediatamente il testo di oggi: ‘Signore, cos’è questa cosa che devi manifestarti a noi e non al mondo?’. È una domanda di Giuda – non l’Iscariota -, una domanda legittima per chi ha seguito Gesù fin dalla Galilea, lasciando tutto, e ora percepisce che una fine drammatica è imminente. ‘Perché non ti manifesti a tutti? Noi ti abbiamo seguito e abbiamo scommesso su di te! Cosa ne sarà di noi?’. È una domanda che capiamo bene anche noi, ogni volta che ci scontriamo con l’opposizione al Vangelo e ci sembra che la nostra posizione in fondo sia perdente rispetto alle altre … 

Davanti a questa domanda, Gesù risponde con 3 verbi: amare, osservare, dimorare. Se uno ama, osserva la parola del Signore e gli permette di entrare e dimorare in lui, ovvero lo rende sempre più familiare a sé, ne assume lo stile, ne percepisce la presenza e si lascia accompagnare da essa nelle piccole e grandi scelte della vita. Chi ama, appunto. Perché c’è anche la possibilità di non entrare in questo legame, di non alimentarlo, di scegliere altre fonti a cui abbeverarsi … Quando succede così, il Signore non può parlare al nostro cuore e manifestarsi a noi. In questa risposta è come se Gesù dicesse a Giuda: ‘la vera domanda non è perché non mi faccio conoscere a tutto il mondo, ma quale posizione decidi di prendere tu. Tu accetti di custodire la mia parola e di darle vita nelle tue scelte, oppure no? Non ti preoccupare degli altri, raccogli la sfida per la tua vita’.

Letto così, il Vangelo assume una concretezza micidiale e colpisce al cuore ciascuno di noi. Io sono disposto a fare della Parola del Vangelo il faro della mia vita? Oppure preferisco fidarmi di altre parole? Accetto di lasciare che il Signore mi diventi sempre più familiare, imparando a imitarne lo stile, le scelte, la posizione davanti alla vita? Oppure mi chiamo fuori dalla relazione in nome di altri amori più forti?

Amare, ascoltare, dimorare sono i 3 verbi che in fondo definiscono i nostri legami e la nostra interiorità. Nella misura in cui scelgo di ascoltare e lasciar entrare la parola di una persona, questa mi diventa più familiare, ne assumo il gusto, in qualche modo mi lascio modellare da lei; e più passa il tempo, più essa diviene intima in me, tanto che riesco a percepire come lei si muoverebbe in una determinata situazione anche senza parlarne, anche se fosse a grande distanza. Lo stesso accade ai discepoli: il Signore se ne va ma la sua presenza e la pace che viene da lui devono rimanere in loro, guidando i loro passi futuri. In tal senso, capiamo anche ciò che Giovanni dice riguardo allo Spirito. La parola del Signore non chiede un ascolto pedissequo, da soldati; chiede invece di coglierne lo Spirito. Per questo motivo Gesù dice che lo Spirito insegnerà e ricorderà le sue parole: la meta della vita cristiana non è ripetere le cose del passato, ma assumere in noi il gusto per la vita del Signore e imparare ad affrontare le nuove sfide del tempo presente allo stesso modo in cui le avrebbe affrontate lui. Così sarà per i discepoli, che avranno il compito di trovare le strade per l’annuncio del Vangelo; così è per la Chiesa, che deve rendere attuali le parole del Signore nella vita degli uomini del suo tempo.

Chiediamo al Signore di saperne accogliere la parola nella nostra vita, senza perderci nella lamentela per ciò gli altri non capiscono o non fanno; e invochiamo il dono del suo Spirito sulla nostra Chiesa, in questo tempo che ci impegna in scelte decisive.

Don Raffaele

Categories: Un seme di Vangelo