VATICANO. Venerdì 22 Febbraio 2019. di Franca Giansoldati

Papa Francesco

CITTÀ DEL VATICANO Cambiare mentalità non è facile. Soprattutto nella Chiesa. Lo sa bene l’arcivescovo Scicluna, uno degli organizzatori del summit sugli abusi che vorrebbe che i vescovi iniziassero a denunciare anche alla polizia (e non solo alla Congregazione della Fede) i pedofili, collaborando con la giustizia civile in modo più sistematico di quanto non abbiano fatto sinora. Lo sa bene Papa Francesco che, ieri mattina, ha aperto i lavori speranzoso: «Mi raccomando, voglio concretezza e misure efficaci». Ha chiesto di individuare un elenco di regole chiare. Per evitare perdite di tempo ha persino consegnato ai partecipanti un memo. Scicluna sintetizza che i processi non si possono fare, come avviene ora, senza la testimonianza delle vittime, le quali devono essere sempre informate dell’esito finale. Gli occhi del mondo sono puntati di nuovo sul Vaticano. 

Nell’Aula Nuova del Sinodo 190 delegati hanno aperto i lavori nel segno dell’ascolto e di una forte presa di coscienza ma non tanto per arrivare a «semplici e scontate condanne». Forse stavolta si sono resi conto che servono fatti e non parole. Soprattutto quando sono state fatte ascoltare cinque testimonianze in video e il clima interno all’aula ad un tratto ha cambiato di tonalità, assumendo i connotati di una auto-analisi. La sociologia del fenomeno si è trasformata in carne sanguinante.

«Sento di avere una vita distrutta. Ho subito così tante umiliazioni che non so che cosa mi riservi il futuro». I presenti hanno ascoltato choccati la donna abusata per anni da un prete che la ha costretta ad abortire. Per la prima volta vescovi e cardinali hanno riflettuto assieme sulle deposizioni di chi, bambino, ha subito violenze. Il Papa è restato con il capo chino. Sa che non si può comprendere la portata delle azioni necessarie da intraprendere se non si coglie la profondità di tanto dolore.

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