Il Vangelo si apre raccontando come il popolo fosse in attesa: ma di che cosa? L’allusione è al Messia, l’unto del Signore, colui che avrebbe attuato la volontà di Dio e reso presente in mezzo al suo popolo. Il popolo in attesa si reca da Giovanni, riconoscendo in lui un profeta autorevole: egli invita ciascuno a “preparare” la sua via con la propria vita, mediante la conversione personale. Ecco perché il popolo si fa battezzare.

In mezzo a loro c’è anche Gesù: in fila come uno qualsiasi, mescolato alla folla anonima, senza alcuna distinzione. Anch’egli cerca la volontà di Dio, si impegna – grazie anche a questo gesto – di disporre la sua vita come una strada affinché il Signore si riveli. Un gesto comune a tutti, eppure per Gesù è speciale: per lui si aprono i cieli e sente la voce. Tutti hanno questo desiderio, tutti ricevono il battesimo, eppure solo Gesù avverte l’effetto di questo gesto. Certo, Gesù è il Figlio, non solo uomo; eppure questa diversità dice anche della nostra superficialità, della nostra poca attenzione a scoprire nei gesti umani quella presenza divina. Nella nostra giornata compiamo molti gesti, facciamo tante cose per gli altri e per il loro bene… ma quante volte avvertiamo che ci svuotano e consumano soltanto, invece di sentire anche quel buon sapore del bene e dell’affetto? Riusciamo a percepire gli effetti di quel che compiamo? Cosa ci manca per sentire e gustare quel che ogni giorno accade?

Gesù stesso non avverte immediatamente questa voce; il Vangelo dice che dopo il battesimo, Gesù stava in preghiera. Non basta avere un’intenzione, non basta compiere la giusta azione, occorre un tempo in cui essere attenti a ciò che accade dentro: Gesù rimane in preghiera, in quel silenzio che gli permette di andare più in profondità nell’esperienza che ha vissuto, in quella tensione per rielaborare quanto è accaduto, con quel desiderio di sentire la voce del Padre, la sua risposta davanti al desiderio-gesto di Gesù.

Noi siamo sempre molto indaffarati, spesso passiamo da una attività ad un’altra e non abbiamo sufficiente tempo di silenzio; senza di esso continuiamo a “arrangiarci”, a tentare strade buone con tanta buona volontà… ma non potremmo mai sentire in profondità la sua voce, la sua risposta alle nostre richieste e offerte. Solo nel silenzio, nella preghiera, il Padre può parlare proprio a noi, personalmente, rivelarci la nostra identità più profonda, toccare il nostro cuore e sciogliere le nostre paure. Quanto silenzio mi dedico? Quanto mi interessa ascoltare la sua voce? Quanto spazio lascio a Dio perché mi possa parlare?

don Marco

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