Su Dio e sul cammino spirituale, a noi credenti fa bene ascoltare i non credenti. Lungo gli anni mi hanno insegnato molto. Un non credente può guardare con una freschezza sorprendente alla vita di fede che noi viviamo, e così neutralizzare il nostro trantran. Noi siamo talmente dentro alle cose, che tante non le vediamo più. Lo sguardo che osserva da fuori, da un’altra angolazione, non di rado scopre aspetti della realtà complementari. Non è mai bene che la Chiesa rimanga a parlare da sola, o che si isoli in una torre d’avorio. Essa è madre, ma anche discepola; maestra, ma anche apprendista della verità. Corriamo il rischio di affidare la guida della vita spirituale a un pilota automatico, di dare per acquisito ciò che in realtà dipende dall’umile costruzione di ogni giorno, di ritualizzare in forma meccanica quel che esige spontaneità, affetto e un sì creativo da rinnovare sempre. La fede non è un podio, è una strada. Mi viene in mente un giovane scrittore che un giorno è venuto nella comunità in cui io sono cappellano, e che prima di andarsene mi ha detto: «Lei dovrebbe avere il coraggio di togliere da questa cappella le sedie – i cristiani vi si siedono sopra troppo comodamente – e di stendere su questo pavimento, così lucido e compatto, un buono strato di terra o di sabbia, che ci ricordi che la fede presuppone grandi ricerche e viaggi continui». È vero. Aveva ragione: la fede biblica, la nostra fede cristiana, è un’esperienza di nomadismo. Le sedie creano cattive abitudini, come avverte Gesù: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno(Mt 23, 2-3).

Alcuni scienziati stanno suonando l’allarme: la malattia del XXI secolo sarà la sedentarietà. Le nostre abitudini sono sempre più viziate dal comfort della vita moderna e si assiste a una grave diminuzione dell’attività fisica. Siamo una società di gente ferma, racchiusa nelle diverse capsule in cui trascorre la quotidianità. Il risultato è che diversi sistemi del nostro corpo entrano in una sorta di atrofia funzionale, a cominciare dalle fibre muscolari, con la perdita di flessibilità delle articolazioni, i disturbi di pressione, lo stress, l’obesità eccetera. Ma dobbiamo chiederci se la sedentarietà non sia anche spirituale. Se in noi non avvenga pure una preoccupante atrofia interiore; se la Ecclesia peregrinatanon abbia perso la fibra muscolare e non stia divenendo una Chiesa da ufficio, talmente occupata in saperi e diagnosi da non avere neppure il tempo per la marcia e il cammino. E se gran parte della nostra ansietà e dei nostri disturbi provenisse da una ridotta attività spirituale?Abbiamo forse bisogno di riabilitare la grande me­tafora evangelica del cammino per descrivere non solo l’esistenza cristiana ma la rappresentazione della Chiesa stessa. Quella parola iniziale che Dio dice ad Abramo, il padre di tutti i credenti — «vattene dal tuo paese, dalla tua rama e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti in­dicherò» (Gen 12.1) – è ancora la stessa che Egli dice alla Chiesa del nostro tempo e a ciascuno di noi. Dobbiamo ricominciare da questo paradigma. Percepire che l’appel­lo del viaggio è più necessario di quello delle sedie. Come diceva il Don Chisciotte di Cervantes, la strada ha da in­segnarci più della locanda.

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