Riflessioni tratte dall’incontro del 13 e 18 settembre 2018 a San Pio X

Il terremoto ci ha costretti a celebrare diversamente, nei mesi in cui abbiamo celebrato all’aperto e nei saloni e di conseguenza abbiamo trasformato la chiesa. E ora la chiesa trasformata ha trasformato la liturgia. 

Come?

– in chiesa siamo rivolti all’altare (non al tabernacolo!), rivolti quindi al mistero che si celebra e ponendo al centro l’azione comune, non la devozione personale;

– il fuoco è di fronte a ciascuno, ma ognuno vede anche l’assemblea (soprattutto si vedono coloro che cantano sul gradino del vecchio presbiterio). L’assemblea (e il coro stesso) diventano quindi “figura liturgica” anche perché identificabili dagli stessi partecipanti che si riconoscono a vicenda, si vedono fisicamente gli uni accanto agli altri;

– ogni rito ha il suo spazio. Lo spazio non è “superficie”, ma luogo adatto per l’azione che lì si compie: lo spazio per il battesimo, quello per l’eucarestia, quello per l’assemblea, quello per il coro;

– in chiesa ci si muove: la liturgia è azione, non siamo pubblico, siamo popolo, l’assemblea è figura liturgica perché non è più un pubblico che “assiste”, ma è più chiaramente protagonista della celebrazione.

La partecipazione attiva dell’assemblea è favorita, appunto, dagli spazi e dalla loro chiara caratterizzazione, soprattutto dalla polarità altare-battistero. Due luoghi che identificano chiaramente i due sacramenti (battesimo ed eucarestia) e sottolineano la loro centralità. 

I riti di aspersione in apertura della celebrazione eucaristica (per es. nella festa del battesimo di Gesù, nelle domeniche del tempo pasquale) si fanno al fonte, con l’assemblea rivolta ad esso, che poi si gira verso l’altare per proseguire la celebrazione (al Gloria per esempio). 

Durante la celebrazione del battesimo, nella memoria del battesimo durante il matrimonio e soprattutto nella veglia di Pasqua, si va al fonte o ci si volge verso il fonte, vero spazio di celebrazione con una sua dignità, luogo che convoca e che dà pienezza al segno.

Commovente è il rito delle esequie, quando terminata la messa e data la benedizione, invitiamo i parenti, i figli di solito, a prendere la bara e ad accompagnare il defunto di nuovo al fonte, come nel giorno del battesimo, compiendo una processione. L’intensità emotiva del gesto fa esplodere il significato: sì quella benedizione è memoria della promessa ricevuta nel giorno del battesimo, la promessa della resurrezione e della vita eterna. 

La nostra chiesa oggi non è, quindi, una chiesa che si è rifatta il look. Il riordino operato non è estetico: è anzitutto teologico! La chiesa è a servizio di una liturgia più eloquente, più coinvolgente, anche più espressiva, corporea ed emotiva. Una liturgia che non emoziona, infatti, che liturgia è? Può il rito parlare solo alla testa, essere solo una serie di parole dette da una sola persona? I genitori che portano il bambino, gli sposi che si recano di nuovo al fonte, i figli che accompagnano il genitore per l’ultima preghiera… non sono gesti che parlano? Occorre che quanto facciamo diventi eloquente, e questi gli spazi permettono gesti che danno valore e spessore a quanto, altrimenti viene soltanto “spiegato” e non sperimentato. 

Sr. Maddalena e don Ivo

Visita il sito www.sanpiodecimo.orge vai in “Gallerie fotografiche” per vedere le fotografie della celebrazione di consacrazione dell’altare e dei lavori di ristrutturazione. 

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