Un seme di Vangelo (Gv 20, 11-20)

Gesù non ce l’ha affatto con i mercenari.

Un mercenario non è mica cattivo: è semplicemente uno che fa quel che fa per lavoro, per portare a casa un onesto stipendio.

E se una cosa la fai per questo, allora ti spendi per quanto sia ragionevole spendersi: hai venduto al datore di lavoro le tue ore della giornata e il tuo impegno, non la tua vita!

Tutti siamo “mercenari” sul luogo di lavoro: mercenari nel senso ordinario del termine, che non ha nulla di dispregiativo: coloro che ci assumono ci chiedono impegno e competenza, non l’anima!

Gesù, però, non è un mercenario.

E’ un pastore, buono, bello, “autentico”.

Le pecore sono “sue”, gli appartengono, come ad un padre appartengono i figli, sono suoi, ad un marito la moglie, tra tutte è la “sua”.

Per qualcuno che è “mio” io do la vita: per qualcuno che è “mio” non qualche ora del mio tempo, non soltanto la mia competenza. Io, per chi è “mio” dò l’anima.

Gesù, buon pastore, fa quello che fa perché siamo suoi.

“Tu sei mio”, dice Gesù a ciascuno di noi.

Io per te do la vita, non qualcosa di me.

Dò il mio corpo, che è per te. Dò il mio sangue, per la vita di tutti, perché siete miei.

“Lo faccio perché sei mio”, anche quando questo significa porre la vita, cioè deporre la vita, perderla tutta.

Chi ama davvero qualcuno mette la sua vita in difesa per chi ama.

E Gesù pone la sua vita in difesa per le pecore (v. 11 e v. 15).

La vita, l’anima, tutto sé stesso: ama e non è un mercenario.

Non lo fa per “lavoro”.

Lo fa perché siamo suoi. Perché ci ama.

“Lo faccio, perché sei mio, e per te offro la mia vita”.

don Ivo

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