Nella sua Pasqua Gesù sa che viene dal Padre e che ora a lui torna. Vita e morte sono viste come un ricevere, un custodire e un ricevere ancora. “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava…” (Gv 13,3). Tutto il vangelo di Giovanni è percorso dall’espressione “che il Padre mi ha dato”, che ritorna con insistenza quasi ossessiva. Nell’esperienza del ricevere e del custodire si manifesta anche tutta la libertà di Gesù. “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse (lavorasse, si mettesse a servizio) e lo custodisse”. (Gen 2,15). Non più solo nel rapporto con il creato, ma anche nello spazio umano che aspira a diventare la città illuminata dalla Presenza divina, servizio e custodia sono gli elementi essenziali che testimoniano l’attesa di un compimento.

Amare è possibile quando si sa da dove si viene e dove si ritorna, amare è rendere un servizio, amare è ricevere tutto e ciascuno come un dono, farlo fiorire e custodirlo. E se poi la parola “amare” è troppo pesante e impegnativa, cerchiamo almeno di non fare troppo male agli altri: anche loro hanno un venire e un ritornare che non dipende da noi; anche loro ci sono stati dati come un dono che non abbiamo il diritto di distruggere, anche loro fanno fatica a discernere se il moto del loro cuore è entusiasmo, generosità, illusione, turbamento, disperazione. Cerchiamo di non far loro del male, cerchiamo di non amareggiarli, cerchiamo di discernere il loro bisogno e servirli. La vicinanza del Signore Gesù e la consolazione dello Spirito santo potranno farci conoscere intimamente da dove veniamo e a chi ritorniamo e aprire il nostro cuore al ringraziamento.

(una sorella della comunità di Bose)