A novembre le comunità del Vicariato hanno iniziato un percorso di riflessione sulla necessità e possibilità di rinnovare “l’istituto” Parrocchia. Abbiamo avuto un primo incontro comune con il nostro vescovo Erio, cui è seguito un laboratorio nelle singole parrocchie. Lunedì 15 si è tenuto il secondo incontro del ciclo, con la teologa Serena Noceti, docente di teologia sistematica all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Firenze; lavoreremo poi sui contenuti che la dott.ssa Noceti ci ha lasciato, per cercare di fissarli e di calarli in una dimensione operativa. Infine il 1° marzo don Zanchi ci aiuterà a fare un qualche passo ulteriore. Perchè questo tema? Perchè il modello di parrocchia che abbiamo conosciuto, che abbiamo in mente e che tuttora opera in larga misura è assolutamente inadeguato al contesto di vita attuale delle persone.

La spinta ad avviare questa riflessione viene da papa Francesco che nel suo documento programmatico “Evangelii Gaudium” immagina una chiesa in uscita, una comunità che vive nel mondo, in mezzo alle case, a contatto con la vita reale delle persone. Papa Francesco non fa altro che riprendere il discorso sulla Chiesa del Concilio Vaticano II; la riforma della Chiesa allora ipotizzata come necessaria (per dialogare con un mondo divenuto rapidamente diverso) ha dato luogo, in questi 50 anni, a sperimentazioni ed esperienze nuove, ha introdotto anche novità operative importanti ma non ha prodotto nuovi modelli di parrocchia, quando è chiaro che la parrocchia, per la sua diffusione capillare nel territorio, è la realtà ecclesiale che più di ogni altra può incontrare e dialogare con l’uomo di oggi. L’amica Serena (così l’ha chiamata don Ivo e così viene voglia di chiamarla, dopo averla vista in azione e in relazione) ha descritto il modello attuale di parrocchia, ha parlato del tipo di società per cui questo modello è stato pensato, ha descritto come questa società non esista più e così ha introdotto il tema: a società radicalmente diversa deve corrispondere un tipo di parrocchia (o più modelli) radicalmente diverso.

Diamo conto brevemente (e in modo molto rozzo rispetto alla ricca articolazione del discorso e al linguaggio molto pulito e preciso di Serena) di queste argomentazioni.                                                                            – Il modello ancora attuale di parrocchia è quello sancito dal Concilio di Trento, circa 500 anni fa. Modello straordinariamente efficace; le sue caratteristiche (detto senza le necessarie sfumature, ma per capire come questo modello non può più servire): ogni parrocchia è autosufficiente (ha tutto quello che serve per la salvezza delle sue anime); la parrocchia è una fabbrica di sacramenti e la vita cristiana sta tutta qui; il parroco è la parrocchia; la comunicazione va da chi sa (il parroco) a chi non sa (i fedeli); il parroco, che sa, ha la responsabilità del suo gregge, lo dirige sul piano spirituale ed etico… Da notare che le parrocchie erano così in tutto il mondo! E’ interessante sapere che, prima di questa formalizzazione, operata dal Concilio di Trento, le parrocchie, nate nel IV secolo, hanno avuto configurazioni varie, in tempi e luoghi diversi. Perciò è del tutto legittimo che noi oggi ci interroghiamo sulla possibilità di fare funzionare le parrocchie in modo diverso.         – La parrocchia tridentina funzionava in una società, prevalentemente rurale, molto omogenea sul piano culturale e religioso; tutta la società era cristiana; il principio di autorità era pacifico; tutta la vita delle persone si svolgeva in quel paese, in quel quartiere, secondo uno schema predefinito: il lavoro, la famiglia, la chiesa; il tempo era scandito da ritmi sempre uguali…

Oggi la società è molto diversa: è pluralista sul piano culturale e religioso; i cattolici praticanti sono una esigua minoranza (nell’Italia del Centro e Nord si calcola che solo il 5-7 % degli adulti vada regolarmente a Messa); la secolarizzazione ha portato al primato della coscienza e della libertà individuale; la globalizzazione ha mescolato ulteriormente le carte: ora la percezione del tempo e della spazio è completamente diversa; il lavoro ha oggi caratteristiche assolutamente nuove e così è cambiata anche la percezione della famiglia…     – Allora viene da domandarsi: quale parrocchia serve ad un mondo così cambiato?             Qui cominciamo a faticare, perchè il sentiero non è battuto.

Alcuni elementi importanti li troviamo nel modello che vorremmo sostituire: per es la parrocchia, per la sua capillarità consente una evangelizzazione rispetto a un territorio; per le sue dimensioni permette alle persone che vi abitano di conoscersi e di riconoscersi come comunità; questa comunità è eminentemente eucaristica: pone la celebrazione eucaristica al centro della sua vita; ha sempre fatto la esperienza di essere “popolo di Dio”, uno, pur nelle diversità sociali e nelle diverse condizioni di vita.

A questo punto Serena indica 4 passi sul sentiero da fare.

– Il primo è una questione di principio: quale è il principio generante una comunità? Il Vangelo. Bisogna mettere il vangelo al centro, cioè: bisogna dedicare l’80% del tempo e delle energie che si spendono in parrocchia per conoscere ed annunciare il vangelo. Secondo questa logica: il Vangelo che accolgo nella mia vita e che vivo nei sacramenti. La Chiesa nasce e rinasce dall’annuncio del vangelo. Naturalmente occorre interrogarsi sul linguaggio (che uso per proporlo; qui il papa ci insegna molto con le sue immagini sempre sorprendenti che ci fanno sentire come nuove parole sempre sentite e poco ascoltate) e bisogna saper intrecciare il vangelo con la vita, per non fare della accademia. – Poi c’è una questione di collocazione, che si gioca tra città, territorio, casa. Bisogna garantire una base territoriale perchè tutti possano ricevere sia l’annuncio sia la testimonianza di vita; ma bisogna accettare che uno possa scegliere di appartenere e di vivere in una comunità di “elezione”, così come occorre riscoprire le case come luogo di annuncio, nella quotidianità delle cose che si fanno.

– Una terza questione riguarda i soggetti che “fanno” parrocchia, nel modello tridentino il parroco è la parrocchia. Fanno invece parrocchia, oltre al prete, i diaconi (ogni parrocchia dovrebbe avere, accanto al presbitero, due-tre diaconi), i “laici” tra cui: le donne (quanto trascurate, eppure gli operatori parrocchiali sono prevalentemente donne), le coppie di sposi (e scoprire che essi hanno un ministero specifico, che deriva loro dal fatto di essere sposi: quello di testimoniare la bellezza e la grazia della unità nella più grande diversità che l’essere umano conosca). Il riferimento è a I Corinzi 12: tutti hanno un dono per la edificazione della comunità. Tutti, per formazione, per condizione… uno può mettere a disposizione la sua capacità educativa, un altro la sua competenza organizzativa e così via: non è detto che per fare la comunità serva la laurea in teologia o in studi biblici. Bisognerebbe chiedere a ciascuno: tu che cosa puoi fare per la comunità e quanto tempo hai a disposizione? E da qui costruire attività e aprire servizi (noi facciamo il contrario: c’è da fare il primo corso di catechismo… cerchiamo i catechisti).

– C’è una questione di forme: il modello tridentino è piramidale, perchè ha un vertice (il parroco), poi ci sono gli eventuali collaboratori del parroco, più in alto quelli più stretti, più in basso quelli più sporadici e alla base il popolo che viene ad assistere o che fruisce di qualche servizio. La comunicazione è unidirezionale, dal vertice ai vari livelli più bassi. Abbiamo bisogno di un modello più orizzontale, dove tutti sono allo stesso piano e la comunicazione si intreccia: i modelli decisionali devono essere plurali. Questo comporta che il prete perda la sua centralità (ciò che chiama in causa anche la loro formazione; anche i seminari sono frutto del Concilio di Trento e sono stati istituiti per fabbricare preti adatti al modello di parrocchia tridentina) e che i laici si assumano responsabilità; questo punto ha come correlato che al centro della parrocchia ci sono gli adulti.

Il lavoro ad “isole” ha portato a molti interventi che Serena ha ripreso, aggiungendo alla sua esposizione due altri punti essenziali:

– il principio generante la comunità non è unico ma ha due poli: il Vangelo e la Eucarestia, che è realmente fonte e culmine della vita cristiana; qui la comunità nasce e cresce;

– un aspetto cui le nostre comunità non sono abituate è quello della verifica. Tutto quello che si fa, come lo si fa, perchè lo si fa, deve essere sottoposto a verifica regolare. Perchè altrimenti si rischia la abitudine e di perdere tempo inutilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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