Il nostro ritiro di Avvento “Ecco faccio una parrocchia nuova, non ve ne accorgete?” – seconda parte –

 

La riflessione pastorale di Don Ivo riparte dalle tre consegne del nostro vescovo per far sì che le parrocchie fioriscano e non diventino un deserto (incontro del 19 ottobre) :

Il tema della corresponsabilità

Il discernimento comunitario

Il ruolo del presbitero

Il tema della corresponsabilità

Il vescovo ci ha spiegato che osservando la storia della chiesa possiamo ritrovare quattro modelli nel rapporto tra pastori e laici, oggi vissuti contemporaneamente nelle parrocchie:

Il modello del laico supplente: sono quelle parrocchie in cui il prete fa tutto e il laico è solo un “cerotto”, non c’è una responsabilità comune. Sono parrocchie avviate alla desertificazione.

Il modello del laico delegato: sono parrocchie che si spengono lentamente. Delegare persone crea divisioni, ognuno lavora nel proprio orticello e lungo andare si stanca.

Il modello dei laici “collaboratori”: nasce con il vaticano II. Occorre rimboccarsi le maniche per fare il proprio dovere. Anche questo però diventa pesante da portare avanti.

Il modello dei laici “corresponsabili”: si interviene nell’elaborazione dei progetti. Anche questo è un modello imperfetto se si applica solo ai progetti.
Corresponsabilità è sentirsi corresponsabili della persona, interessarsi a ciò che fa star bene l’altro. Il tempo di Dio è responsabilità per la vita dell’altro, una cura reciproca che mette al centro la persona e non le cose da fare.

Il discernimento comunitario

Il secondo elemento indicato dal vescovo riguarda il discernimento comunitario: “ la possibilità di tutti di esprimersi dal loro punto di osservazione…ciò che ognuno con la sua storia può mettere in gioco per leggere la situazione”. Anche in questo caso si tratta di maturare una sensibilità comune, un sentire insieme per formare un’identità condivisa che pian piano ci plasma. Un intuire insieme qual è la via di Dio nella nostra comunità.

Il ruolo del presbitero

Il terzo punto che ci collega all’incontro con il vescovo riguarda il ruolo del presbitero. Nel presbitero si concentrano tre dimensioni: profetica, sacerdotale, pastorale e questo è un problema. Nell’antico testamento, ricorda sempre il vescovo, le tre funzioni furono distinte, è Gesù che le riunisce ma Gesù si è collocato soprattutto nella dimensione profetica. Ciò che qualifica il presbitero è essere annunciatore della parola. In Evangelii Gaudium il papa riserva tantissimo spazio all’omelia che è la parte fondamentale e più qualificante dell’annuncio della parola.

Vogliamo veramente un parroco che annunci la parola di Dio, un parroco profeta che fa domande scomode o preferiamo un animatore che organizzi bene la parrocchia o un sacerdote che dice tante messe e organizza tanti momenti di preghiera?

A seconda di come è il parroco la comunità sentirà rivolgersi richieste diverse, ma il parroco profeta è quello che parla al mio quotidiano e al mondo.

La chiesa in uscita di cui ha parlato il papa non è forse una chiesa che ha perso un modello e che cammina verso un futuro che non ha ancora scelto? Una chiesa in uscita non è una chiesa in esodo, che cammina verso una parola che la attira?

Riuniti a isole ci interroghiamo: a che punto siamo nella nostra comunità? Il cammino che facciamo ci educa a sentire insieme? Quale prete vogliamo: il profeta, l’organizzatore, il ministro del culto?

Dalle riflessioni condivise emerge che il prete che vogliamo è speculare alla natura della comunità che vogliamo essere, dobbiamo continuare a chiederci per chi e perché facciamo certe cose.

Uscire dal proprio gruppo non è facile perché il tempo ci pone dei limiti, oppure si ha paura ad entrare nello spazio di azione di un altro gruppo.

Poter parlare di comunità è già una cosa grande, dire che l’altro mi è caro è difficile.
Il sentire insieme è favorito dal prete profeta che cura l’omelia e quindi ci aiuta a crescere come comunità.

La prima parte qui