Incontro con il vescovo Erio, 19 ottobre 2017

Il Vescovo inizia commentando il Vangelo di Mt 5, 13-15: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

Gesù pensando alla chiesa non fa appello ad immagini forti, e invece il sale trova il suo senso nello scomparire, nel sciogliersi; la luce trova il suo scopo nel mettere in risalto l’altro da sé. Sono due elementi “deboli” che non attirano su di sé l’attenzione. Sale e luce non possono diventare insipidi o bui, ma non possono dominare: è anche un questione di dosaggio. I cristiani devono “dosare” la loro presenza nel mondo, per evitare di scomparire (essere troppo timidi), ma anche evitare di essere arroganti e voler dominare: è un equilibrio non facilissimo in cui la chiesa è caduta nella sua storia.

E’ quindi utile partire dalla domanda “in negativo” e cioè: Che cosa non è una parrocchia?

– non è “camomilla”: la comunità che si appoggia comodamente sul parroco, sul collaboratore è “parrococentrica”: gli organismi parrocchiali sono solo una “cassa di risonanza” del parroco. Se il parroco è un imbuto che deve fare tutto gli altri sono passivi. Si torna allo schema (storicamente obsoleto) del ministro (attivo) e i laici (passivi);

– non è “pepe della terra”: il pepe irrita, è segno del conflitto, dove tutti vivono in un’eterna gara senza riconoscere il dono dell’altro: il suo dono sarebbe un attentato al mio dono! Molti conflitti nascono dalle invidie, dal guardare male l’altro. E’ una mentalità egocentrica. Occorre evitare conflitti e irritazioni inutili;

– non è “cipolla della terra”, per far piangere la gente e provocare tristezza. Occorre che siamo comunità accoglienti e gioiose. Anche quando deve organizzare, celebrare vive una gioia che è diversa dall’allegria: è più profonda. La parola “gioia” è imparentata a “grazia”. L’allegria sono le fronte, la gioia sono le radici. Occorre evitare l’ansia del numero e delle prestazioni.

In positivo una parrocchia è una comunità nella quale impariamo ad apprezzare i doni di tutti e gli organismi di partecipazione, i consigli sono soprattutto luoghi di comunione. Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte definisce la parrocchia “casa di comunione”. Infatti la prima forma di missione è la comunione. E’ il luogo nel quale si testimonia la gioia di essere cristiani, in particolare a coloro che vivono situazioni di fatica e di disagio. In tal senso occorre ristabilire l’importanza dei ministeri nella comunità cristiana: in particolare i diaconi che tengono sveglia la comunità cristiana sulla questione della povertà.

Numerose sono state le domande rivolte dall’assemblea e il vescovo, nell’impossibilità di rispondere a tutte, ha provato ad unificarne alcune. Un gruppo di domande è caratterizzato dal tema della corresponsabilità.

Se guardiamo alla storia della chiesa osserviamo che ci sono quattro modelli nel rapporto tra pastori e laici:

– i “laici supplenti” (quello più clericale): “finché ce la faccio devo fare io le cose, quando non ce la faccio più mi farò aiutare”. Il consiglio pastroale è soltanto consultivo, perché la parrocchia “deve essere del parroco”. Non è responsabilità comune, ma il laico è un “cerotto”;

– i “laici delegati” (sviluppato da Papa Pio XI negli anni 20-30 per rilanciare l’Azione cattolica): è un mandato come “partecipazione” alla gerarchia ecclesiastica, poi alcuni laici, per formazione, responsabilità e doni, possono essere prolungamenti dell’azione della gerarchia;

– i laici “collaboratori” (con il Vaticano II): molto più che supplenti e delegati, anche se indirettamente ancora in una posizione di “subordinarietà;

– i “laici corresponsabili” (oggi): non si interviene per eseguire un progetto, ma chi è corresponsabile interviene nell’elaborazione del progetto. Pensate ad un CPP fatto di soli collaboratori o di corresponsabili: nel primo caso il parroco decide il progetto (festa, impianto del catechismo… e chiede: “chi è che fa questo?” per collaborare). Nel secondo caso si lavora insieme a impostare tutte le cose fin dall’inizio: si interviene in fase di progettazione: è il “discernimento comunitario”.

Il discernimento comunitario è la possibilità per tutti di esprimersi dal loro punto di osservazione. E non importa che non si abbia la preparazione teologica del prete o il sacramento dell’ordine: quello che importa è la connessione delle sfumature che nasce dal sacramento del battesimo che tutti hanno ricevuto e dalla professionalità e storia che ciascuno può mettere in gioco per leggere la situazione.

Un altro gruppo di domande verteva sul tema dell’organizzazione della parrocchia. La parrocchia non è unoi “stato-nazione” che deve seguire una determinata forma di governo: non è “deliberativa” (risponde ad una idea democratica, in cui si decide sulla base della maggioranza), non è solo “ascoltiamo tutti e poi tanto decido io”, ma piuttosto un modello nuovo e “misto”. Ha principi “monarchici” (es. il papato), ma ci sono tratti democratici (es. l’elezione del papa nel concistoro). La parrocchia è una “comunione sinodale”, cioè una comunione in cui si cammina insieme uniti. Come quando si va in montagna: chi guida non prende la corsa lasciando gli altri nel pericolo, ma tenere insieme tutti. Gesù non è un monarca e nemmeno un “presidente della Camera”: la sua logica è il “se vuoi”.

Infine si è approfondito il tema del parroco e della sua funzione all’interno di una parrocchia , funzione sempre più complessa. Il pastore “lancia avanti” la comunità, ma fino a che punto se si concentrano in lui tre dimensioni: quella profetica, quella sacerdotale e quella pastorale? Nell’AT le tre funzioni furono distinte, forse unite idealmente nella figura di Davide. E Gesù riunisce di nuovo le tre linee: ma in quale si colloca soprattutto Gesù? Ma lui si è collocato soprattutto in quella profetica, lo si vede nella critica forte alla classe sacerdotale!, e critica anche un certo modo di gestire il potere. Eppure diciamo che Gesù è il grande “sommo sacerdote” (Ebr) e anche il “buon pastore” (Gv). Uno dei compiti dei pastori è quello di dosare bene queste dimensioni, a seconda dei momenti, delle situazioni: il compito del sacramento dell’ordine è di presiedere la liturgia, ma non di sacralizzare la comunità; è di annunciare la parola, e questo significa anche esercitare una critica di tutto ciò che è sacralizzante; è di guidare la comunità, di incoraggiare (e quindi anche di amministrare, con il pericolo di schiacciare il prete).