Vangelo   Lc 7, 11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante
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Un silenzio spettrale.

I passi sono pesanti, i cuori pietrificati.

Una donna vedova porta al sepolcro l’unico figlio.

Un dolore immane, che riduce tutta la città al silenzio, tanto che dei molti che la accompagnano, provvisti solo del loro sgomento, nessuno invoca qualche aiuto da Gesù.

E’ il Signore che “vedendola ne ebbe compassione”: ecco il volto autentico di Dio.

Un Dio che vede e che ha compassione. Un Dio che vede e “si prende pensiero” (Es. 2,25).

L’inverso di mille nostre “bestemmie”: “che cosa ho fatto per meritarmi questo?…, perché Dio mi ha mandato questo castigo?”… parole che sgorgano soltanto dal dolore e da un cuore non salvato.

Il Signore vede e ha compassione.

E perciò può dire: “Non piangere” (Cfr Is. 25,8, Ap 21,4) in modo del tutto diverso dai nostri sbrigativi modi di consolare.

Può dirlo perché lui “tocca la bara” e compromettendosi fino in fondo con il dolore della donna, rischia tutto di sé, spaventando i portatori che si fermano.

Il silenzio ora non è spettrale, ma stupito: chi è costui per dire “Non piangere” e perché contrae l’impurità di questo defunto? L’amore, quando è eccessivo spiazza, disorienta, chiude le bocche perché ogni parola viene delegittimata e risulterebbe vuota e inutile.

E’ allora che Gesù, con ben più autorevolezza di Elia, senza segni e gesti, ma con la sola parola dà un ordine. Lui è “il Signore” come dice il racconto e può dire: “Ragazzo, dico a te, alzati!”.

Il morto non può che ubbidire!, si leva a sedere ed inizia a parlare.

Il silenzio si rompe. Finalmente la gente prende la parola.

E in coro esclama: “un grande profeta è sorto tra noi”. Sì, più grande di Elia.

Un profeta, dice la gente. Cioè un uomo che ha una parola autorevole, una parola che libera.

Il profeta non è quello che predice il futuro, anche se è vero che egli sa “guardare avanti”, vedere oltre lo sguardo limitato di cui siamo capaci.

Un grande profeta. Attraverso di lui Dio ha visitato il suo popolo.

Un profeta perché gli basta la parola per far passare da morte a vita. Per liberare chi è prigioniero, per ridare la parola ad un popolo muto. Solo un profeta sa fare questo.

Ed ecco il primo messaggio di questo vangelo, di questo “vangelo puro”.

Chi è profeta in mezzo al popolo di Dio? Chi “porta” la Parola di Dio?

Solo chi ha una parola che libera, una parola che fa uscire dalla tomba, una parola che riscatta chi è schiavo di ogni tipo di morte e lo riporta alla vita e alla comunicazione con gli altri.

don Ivo

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