Cosa accadrebbe in un cinema se, iniziata la proiezione, in sala entrassero 150 persone che vanno a prender posto in ritardo, passando tranquillamente davanti agli altri?

Quale disagio creerebbe questo comportamento in coloro che si sono preparati, puntuali, a godersi il film? E quale difficoltà ad entrare nella trama da parte di chi ha 10′ minuti di ritardo sulle scene iniziali?

Non solo a scuola e in ufficio, non solo dal medico, ma anche ad una cena con amici e al cinema noi non ci presentiamo in ritardo. Abbiamo a cuore il gesto che facciamo e il rispetto delle altre persone e quindi ci impegniamo per esserci al momento giusto; anzi, magari anticipiamo perché vogliamo essere pronti anche interiormente.

Ma a messa per molti di noi non è così.

Il numero 150 non è casuale, è l’esito di un sondaggio. Se in un’assemblea di 350 persone quasi un terzo arriva in ritardo, ciò significa che quel momento da tanti non è ritenuto così importante. Meno che andare al cinema, appunto.

Sono convinto che fino a quando l’eucarestia non diventerà per noi un momento atteso e preparato, a partire dal quale dare ordine alle altre cose, la fede e l’incontro con il Signore rimarranno un’esperienza di obbligo, un precetto, appunto o – e non è meglio – un momento soggettivo, come se fossimo turisti che possono scegliere se visitare o no e per quanto tempo il tal museo.

La cura della fede non ci chiede moltissimo; ma di avere con il Signore un incontro serio, autentico, dove per quanto ci è possibile ci sia tutta la nostra persona e il nostro amore, questo sì.

Ci chiede anche il rispetto dell’altro, della comunità, di chi come noi e con noi è implicato nel desiderio di questo incontro.

Una messa che non “decolla insieme” è già un itinerario spezzato; una celebrazione dove alcuni tirano e spingono e altri sono presenti come un corpo morto fatica a diventare ciò che è, ossia esperienza in cui si sperimenta la salvezza.

Ma noi ci accontentiamo di esserci “in qualche modo”, di ascoltare l’omelia, o anche di non farlo attentamente (tanto ci sarà anche la prossima domenica!); di partecipare dopo aver assolto tante altre esigenze, perfino quella di scambiare qualche parola durante la celebrazione con persone che non vediamo da un po’; di rispondere al cellulare quando qualcuno malauguratamente ci cerca; o anche solo di esimerci dal cantare o dal lasciarci coinvolgere, perché preferiamo rimanere semplici spettatori.

In chiesa non siamo al cinema, eppure anche lì siamo a volte migliori che qui. Non lasciamo al presbitero, alla commissione liturgica o a chi esercita un ministero a messa l’unica responsabilità di dar vita ad una celebrazione autentica e viva. Noi facciamo l’eucarestia, noi siamo eucarestia ogni domenica, se smettiamo di “andare a messa” e decidiamo di vivere un coinvolgimento decisivo con chi ci ha invitato e con chi come noi desidera incontrarLo.

 

don Ivo