La globalizzazione, si sa, ci circonda. Ci pervade. Ovunque ci giriamo è pronta ad abbracciarci nella sua stretta suadente. Oggetti provenienti dalle parti più disperate del mondo possono trovarsi a migliaia di km di distanza da dove sono nate o da dove sono state prodotte. E noi siamo abituati ad andare al supermercato o da Euronics e, dopo aver confrontato i prezzi con le nostre esigenze (???), scegliere il prodotto che più ci soddisfa. È normale. Siamo stati abituati così. Chi si è mai fermato un attimo per chiedersi la storia del prodotto che stava comprando. Chi l’ha portato sullo scaffale? In quale magazzino è stato stockato? Quanti km ha fatto per arrivare dalla casa produttrice al negozio? Quali mani sapienti lo hanno plasmato? E sempre più indietro: di che materiali è fatto? E da dove vengono questi materiali? Con quanta fatica sono stati estratti?  A quale prezzo?

Ma procediamo con ordine.

Lunedì 4 maggio alle ore 19 la solita messa feriale di San Pio X, per una volta, ha smesso i suoi panni tranquilli e abitudinari e si è lasciata visitare da persone di tutte le età, parrocchiani e non, per celebrare la messa missionaria mensile, promossa dal Centro Diocesano di Animazione e Formazione Missionaria. A presiedere insieme a don Ivo c’erano una vecchia conoscenza, don Eligio, che non manca mai a nessuno di questi appuntamenti, e don Germain Nzinga congolese e cappellano della comunità africana francofona di Modena. Contagiata un po’ dallo stile africano del presbitero, un po’ dai canti più briosi del solito, un po’ da un’assemblea partecipe e gioiosa nel condividere tempo e preghiere alla mensa di Cristo, la messa è durata un po’ più del solito.

Subito dopo i presenti hanno potuto godere di un breve momento di ristoro a base di pizza per poi tuffarsi nel tema della serata. Il titolo dell’incontro era Guerra, minerali, migrazioni con ospiti lo stesso don Germain Nzinga, Mathilde Muhindo direttrice del Centro Olame di Bukavu, capitale della Provincia del Sud Kivu ed ex deputata del parlamento della Repubblica Democratica del Congo e Donata Frigerio rappresentate della Rete Pace per il Congo e della campagna Minerali clandestini. Il Congo è una ex colonia belga, ricca di tutti i minerali più importanti per la produzione di molti beni di consumo ad alta tecnologia (oro, rame, stagno, il preziosissimo coltan) e di petrolio. Don Germain ci ha permesso di conoscere meglio la storia di questo paese. Alla fine del XIX sec. il Belgio sfruttò il Congo soprattutto per la produzione di caucciù dando vita a uno dei più feroci governi coloniali che causò in pochi anni più di 10 milioni di morti e lasciò 5 milioni di congolesi senza mani. Le mani di coloro che si rifiutarono di assoggettarsi al lavoro da schiavi. Dopo la seconda guerra mondiale il Congo conobbe la dittatura trentennale di Mobutu, sostanzialmente un governo fantoccio nelle mani dell’Occidente. Fino ad arrivare al presente. Un presente fatto di una guerra che dura dal 1987 con oltre 8 milioni di morti. Una nuova Shoah. Di cui nessuno, o quasi, parla. Per capire il presente che vive il Congo è necessario risalire almeno fino al 1992 quando il presidente USA, Clinton decise che era il momento di cambiare la strategia americana basata sulla dottrina Monroe. Per dirla in breve la dottrina Monroe prevedeva una sostanziale separazione delle zone di influenza: all’Europa era lasciata mano libera sul continente africano, mentre gli Stati Uniti potevano esercitare la loro influenza, politica e non, sul continente sud americano. Clinton sparigliò le carte e iniziò a lavorare perché anche gli Stati Uniti ottenessero delle buone relazioni con alcuni paesi africani; ovviamente l’obiettivo principale erano e sono quei paesi con il sottosuolo più ricco di risorse. I mezzi con cui perseguire questo obiettivi sono stati e sono principalmente tre:

  1. lo sterminio. Come è successo per i Sioux e per gli Apache, e prima di loro con gli Incas e gli Aztechi. In Congo stanno nascendo dei campi, per lasciar vuoti i villaggi. In questo contesto un’azienda mai in crisi è quella della B.M.W. Non è la marca di automobili ma significa: Beer, Music, Women. Questo serve al popolo per non riflettere e per essere servo di altre potenze. Panem et circenses ai tempi dei romani. Sesso, droga e Rock’n’Roll negli anni ’60. Gli intellettuali vengono allontanati perché fanno riflettere. Don Germain ci confida di aver già ricevuto minacce telefoniche dopo aver pubblicato un libro in cui racconta accuratamente tutto questo e molto altro;
  2. la marginalizzazione. I punti in comune con un altro paese profondamente diverso per geografia e cultura come la Palestina sono a tratti sconvolgenti. È molto pericoloso per un popolo essere vicino di un altro popolo che ha subito un genocidio. Dopo la Shoah agli israeliani fu concesso di formare uno stato, l’attuale Israele, in una terra che era però già occupata da un altro popolo. Il popolo palestinese non fu riconosciuto a partire dalla nascita di Israele. Il Congo sta subendo lo stesso destino. Confina con il Rwanda che dall’aprile al luglio del 1994 conobbe uno dei genocidi più terribile della storia contemporanea. L’instabilità della regione si estese al Congo e in particolare alla Regione dei Grandi Laghi. L’obbiettivo degli USA, che solo oggi a 20 anni di distanza si può cominciare a comprendere in tutta la sua enormità, era ed è quello di ricreare una Regione dei Grandi Laghi sotto l’influenza americana. Tutto ciò usando come scusa la pacificazione del Rwanda e come longa manus il confinante Uganda. Herman Cohen, stretto collaboratore del presidente Clinton, ha già dichiarato che l’Est del Congo non è più congolese, ma rwandese.
  3. La È una conseguenza dei punti precedenti. Come detto l’Est del Congo è già controllato de facto dal Rwanda. Già 15 anni fa il piano di Clinton era quello di dividere il Congo in tanti piccoli Paesi facili da controllare, così come è avvenuto nei Balcani e in URSS. In questo modo sarà più facile sfruttare oro, coltan e altre ricchezze.

Le forze militari e paramilitari, congolesi e non (soprattutto ugandesi e rwandesi) hanno mano libera sul paese e sulla sua popolazione. Si calcola che circa 400.000 donne siano state stuprate dall’inizio del conflitto. Lo stupro è stato usato come arma di guerra. Solo le donne possono donare la vita. E se la donna non dà più la vita il paese è condannato lentamente a morire. Ad orrore si aggiunge orrore. I militari inviati in Congo sono deliberatamente scelti tra i malati di AIDS, per poter contagiare più facilmente le donne e dunque i bambini che nasceranno. In questo modo il futuro del Paese è finito. In Congo, come in Kenya, i vaccini inviati dall’Occidente hanno come obiettivo secondario (o primario?) quello di sterilizzare. La cosa scandalosa è che di questi 18 milioni di morti dall’inizio del ‘900 ad oggi, nessuno parla.

Don Germain ha concluso questo suo primo intervento provando comunque a intravedere una speranza e con una richiesta. “Siamo in Europa, nel Continente della democrazia – ha detto – dove non si tollera la distruzione dei diritti umani. Provo ad essere ottimista, ma interrogando tanti leader politici ho visto l’esistenza di un piano chiaro, con i tre step sopra riportati per poter giungere a conquistare un Paese deprivandolo del suo popolo. Vi chiedo questa solidarietà: parlare e dire la verità. I minerali che abbiamo – che dovrebbero poter garantire ad ogni congolese ricchezza e un futuro certo – sono diventati una maledizione per noi!” “Parlare e dire la verità”. Questo vangelo deve essere declinato anche nella storia di oggi, nella vita di tutti i giorni di tanta gente che vive così lontano, ma che ci è così vicina.

Nella prossimo articolo vedremo un punto di vista più femminile sul Congo e la sua situazione con gli interventi di Mathilde Muhindo e Donata Frigerio.