La nuova tragedia del mare nel Canale di Sicilia fa oscillare nuovamente il pendolo dell’opinione pubblica verso l’orrore e la compassione, dopo che con troppa fretta era stata archiviata l’operazione Mare Nostrum, accusata di attrarre nuovi sbarchi sulle nostre coste. Poche settimane fa, avevano suscitato scalpore i dati diffusi dall’Eurostat: 626mila i richiedenti asilo nell’Unione Europea nel 2014, 191mila in più rispetto al 2013, con un incremento del 41%: un record storico, sottolineavano le agenzie. L’Italia figurava al terzo posto per numero di domande ricevute, con 64.625. L’Eurostat indicava anche una crescita molto consistente dei siriani, passati da 50mila a quasi 123mila. Tutti dati veri, ma comunicati in questo modo, estrapolati dal contesto più ampio e drammatico in cui si collocano, tali da suscitare sentimenti di allarme e domande di contenimento. L’Acnur, agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati, ha diffuso a sua volta i dati relativi ai primi sei mesi del 2014. Ci dicono che il piccolo Libano accoglieva a quell’epoca 1,1 milioni di richiedenti asilo, la Turchia quasi 800mila, la Giordania 645mila. Ciascuno di questi Paesi da solo si faceva carico dunque di un numero di persone in cerca di protezione superiore a quello di tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea messi insieme. E da allora la situazione è molto peggiorata, per loro molto più che per noi. Un altro dato eloquente riguarda il numero di rifugiati accolti per ogni 1.000 abitanti. Qui il Libano raggiungeva quota 257, la Giordania 114, la Turchia scendeva a 11. Il primo Paese dell’UE è la piccola Malta con 23, la Svezia è a quota 9. L’Italia, sotto la media europea, si fa carico di 1,1 rifugiati ogni 1.000 abitanti. Il problema dunque ha almeno tre facce. La prima riguarda il fatto che la cruenta geo-politica contemporanea sta producendo milioni di rifugiati, con un epicentro che va dalla Siria all’Afghanistan passando per l’Iraq: i rifugiati nel mondo hanno superato i 50 milioni, la cifra più alta da quando l’Onu raccoglie i dati. La seconda faccia vede invece i Paesi sviluppati, e l’Unione Europea in modo particolare, tentare di svincolarsi dagli obblighi umanitari che pure dichiara solennemente di onorare. Come ha osservato The Guardian, i governi si sentono pressati da opinioni pubbliche ostili e da partiti populisti che costruiscono oggi buona parte delle loro fortune sulla chiusura nei confronti di immigrati, minoranze islamiche e richiedenti asilo. La democrazia interna non sempre produce valori liberali, soprattutto nei confronti del mondo esterno. La terza faccia del problema riguarda i rapporti interni all’UE e lo scaricabarile tra i governi. Per riassumere la questione in modo schematico, l’Italia salva in mare i profughi, ma poi li lascia transitare sul suo territorio, consentendo che vadano a chiedere asilo al di là delle Alpi. Gran parte degli interessati per la verità non chiede di meglio. Paesi non propriamente affacciati sul Mediterraneo, come la Germania, hanno ricevuto nel 2014 202mila domande di asilo, il 32% del totale, mentre la Svezia ne ha registrate 81 mila, pari al 13%, dunque più dell’Italia. Questa è la motivazione che invocano i governi transalpini per rifiutare di collaborare con l’Italia nei salvataggi in mare. Le regole di Dublino e la gelosa gestione nazionale dei temi dell’immigrazione e dell’asilo generano politiche letteralmente disumane. Oltre a incolparsi reciprocamente, i governi (spalleggiati dai media) riescono con un certo successo a ricorrere a un’altra manovra diversiva: incolpare i trafficanti, chiedere al fragile governo libico di bloccare le partenze, ultimamente evocare lo spettro del’Isis come organizzatore dei viaggi della speranza. Va ribadito ancora una volta: per evitare rischiosi viaggi per mare e tagliare i profitti dei trasportatori, basterebbe istituire altri canali per la protezione umanitaria di chi fugge da guerre e persecuzioni: domande di asilo presso ambasciate e consolati, misure di reinsediamento dopo una prima accoglienza il più vicino possibile alle aree di crisi. Se i profughi rischiano la vita in mare, è anche colpa della nostra indifferenza e della nostra paura di accoglierne troppi.

Maurizio Ambrosini Sociologo delle migrazioni, collaboratore di Aggiornamenti Sociali 

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