20150322_192919 Introduzione

Può darsi che non siamo riusciti a restare vigilanti e attenti durante tutta la lettura – è un Vangelo molto più lungo di quello che si legge    nelle liturgie domenicali – ma la forza del Vangelo è tale che anche se non abbiamo ascoltato tutto, qualcosa è entrato nel nostro cuore, e  qualcosa entrerà di questa riflessione che vuole essere solo un’eco di quello che abbiamo ascoltato.

 Il contesto geografico e storico: Giudei e samaritani

Gesù, dopo aver incontrato Nicodemo in Gv. 3 (dottore della legge e rabbino, incontrato nella notte perché Nicodemo ha paura a farsi  vedere con Gesù), cioè dopo aver incontrato i rabbini, vuol incontrare i fratelli scismatici, che appartenevano al popolo di Dio ma da secoli  erano separati. Gesù ‘doveva’ recarsi in Samaria. È la volontà divina, perché in genere i giudei non passavano per la Samaria, regione  montuosa oltre che scismatica, e preferivano passare per la valle del Giordano.

 

  1.  Il pozzo

Gesù giunge ad un pozzo. A noi il pozzo dice poco, ma in queste regioni desertiche il pozzo è la cosa più segnalata; normalmente era qualcosa di molto antico, perché le sorgenti erano scarse e di solito le avevano trovate gli uomini dell’antichità (Giacobbe è di 1500 anni prima!). Ma il pozzo per una città è anche la piazza, il luogo dove tutti si trovano: all’alba le donne, per prendere l’acqua della giornata; alla sera gli uomini, per parlare della giornata. Il pozzo era il bar del paese. In questo luogo la gente faceva anche i contratti, tra cui i matrimoni. E tutti i matrimoni erano fatti vicino al pozzo, specialmente dai genitori. La Bibbia ci dà testimonianza che proprio a quel pozzo di Giacobbe era stata trovata la moglie di Giacobbe, ma anche di tanti altri. Dunque, un pozzo venerabile nella storia di Israele. E qui attorno risiedono le tribù di Israele una volta che si sono divise dalla tribù di Giuda.

  1. La storia dello scisma

Quando Israele era uscito dall’Egitto aveva occupato questa zona, ma dal 722 gli Assiri avevano distrutto la capitale del nord, Samaria, e avevano deportato la popolazione valida lasciando donne e vecchi, che per poter vivere si sposavano con i cananei. Da quel momento la purità ebraica cominciò ad essere minacciata. Molti samaritani erano dunque famiglie miste, con presenze dei popoli vicini e di fenici. Questa terra diventa sempre più promiscua, con una fede non ortodossa, come era invece a Gerusalemme, con il tempio e il re. Le cose poi peggiorarono: nel 598 cade Gerusalemme e i giudei sono deportati a Babilonia. Quando i giudei tornano a Gerusalemme con Ciro (538) vogliono ricostruire il tempio. I samaritani si offrono per aiutarli a ricostruire il tempio, ma i giudei dicono no, perché i samaritani non sono puri. E una volta che i giudei hanno ripreso la terra, i sacerdoti ordinano che tutti quelli che avevano coniugi non di Israele li mandassero via. Fu un’ora terribile: quanti ebrei dovettero allontanare le loro donne cananee, condannandole di fatto alla prostituzione per poter vivere. Nel IV secolo l’intransigenza ebrea arriva fino alla pulizia etnica. Un sacerdote che aveva una sposa cananea e la amava molto non volle distruggere la sua famiglia e fece uno scisma, insieme ad altri sacerdoti che la pensavano allo stesso modo, costruendo un tempio sul monte Garizim. Da quel momento tra questi fratelli nasce una guerra terribile: nel 120 i Giudei distruggono il tempio dei samaritani; i samaritani si vendicano portando nel tempio di Gerusalemme sterco di maiale, per contaminarlo. Si odiano. E soprattutto i Giudei disprezzano i samaritani (una pagina del Siracide dice: i samaritani sono un popolo stupido e stolto, che non merita niente!).

Ma Gesù, che ha incontrato i Giudei tramite Nicodemo, lui che è chiamato a radunare i figli di Dio dispersi, non ha paura di incontrare anche i fratelli scismatici, facendo un viaggio nella loro terra. E subito dopo (Gv 4, 43ss) incontrerà i pagani nella persona di un funzionario del re: Gesù è venuto per tutti, e non ha paura di incontrare le persone.

Gesù e la donna: un incontro umanissimo

Giovanni dice che Gesù giunge qui affaticato e assetato. È un uomo, che ha camminato per alcuni giorni in quella zona montuosa oltre Gerusalemme. Gesù è stanco, si siede vicino al pozzo, il pozzo è profondo più di 30 metri (c’è ancora adesso …) e si siede nell’ora più calda, quando tutti sono a tavola. Tant’è vero che i discepoli sono entrati in città per comprare qualcosa da mangiare. Mentre lui è lì arriva una donna, proprio in quell’ora. Perché arriva in quell’ora? Certamente a causa dell’esclusione sociale che soffre per il suo comportamento morale. Va lì quando nessuno di quelli che possono disprezzarla è presente.

Mentre la donna sta maneggiando l’anfora e la corda, Gesù le chiede. E sentendo il suo dialetto, la donna si meraviglia: c’è qualcuno che è nella sua stessa condizione e le chiede ospitalità; questo è un giudeo, da cui dovrebbe aspettarsi solo disprezzo. Invece quest’uomo si fa mendicante verso di lei e le indirizza una parola: ‘mi dai da bere?’. Quanti uomini sarebbero incapaci di dire una parola così a una donna! Non è un uomo che comanda, non è un rabbino che pensa subito alla lezione da dare; è un uomo che ha semplicemente bisogno. Questo modo di fare di Gesù svela sua autorità: l’autorità di una persona è la sua capacità di far crescere l’altro, e Gesù vuol far posto a questa donna, vuole renderla un soggetto. E allora è come se le dicesse: sono un assetato come te, mi dai da bere? Io non ho né l’anfora né la corda. E inizia così un incontro umanissimo tra Gesù e la donna. Lei dunque si stupisce e chiede conto a Gesù di quella iniziativa: sono una donna (e alle donne in genere si comanda) e samaritana (sono impura per i Giudei). Questo accende un incontro senza barriere. Tra Gesù e la donna è come se in quel momento fosse caduto un muro di separazione: tra samaritani e giudei, tra uomini e donne, tra un rabbino e una donna (un rabbino non poteva parlare con una donna, neanche della Scrittura! Se un rabbino insegna la Scrittura ad una donna è come se le insegnasse delle porcherie!). L’incontro ha inizio.

L’acqua viva

Gesù richiama la donna al suo non sapere. E inizia in Giovanni un racconto in cui vediamo che c’è una donna che può dar da bere a Gesù, ma poi le cose si capovolgono: è Gesù che può dar da bere alla donna. La donna non sa, non capisce, ma Gesù le dice qualcosa che la intriga, umanamente è un po’ conquistata da lui. Allo stesso tempo, non riesce a capire dove Gesù la vuol portare col suo ragionamento. Il linguaggio di Gesù è figurativo, enigmatico, ma la donna non si tira indietro: se c’è un’acqua così, allora lei potrà non andare più al pozzo con fatica. Gesù le fa una promessa: l’acqua del pozzo non disseta per sempre; l’acqua di Gesù invece, quando lui la dà ad uno, quest’ acqua diventa in lui sorgente che zampilla. L’uomo che la riceve non è solo un contenitore, ma diventa una sorgente. Gesù sta parlando di qualcos’altro rispetto a quell’acqua che serve a noi per vivere. Quest’ acqua è già identificata dagli ebrei come la Parola di Dio (è un pozzo zampillante!), e la donna lo sa e pian piano cerca di entrare nel linguaggio di Gesù. Riesce a capire che Gesù ha una parola che se accolta diventa acqua che zampilla. Secondo il Vangelo di Giovanni, quest’acqua è lo Spirito. Noi abbiamo normalmente un rapporto di ascolto con la Parola di Dio, o la pensiamo come qualcosa che mangiamo. Se però non si ricrea in noi attraverso la nostra coscienza, allora rimane qualcosa di attaccaticcio, che non ci dà la forza ispiratrice. Agostino parlerà del ‘Maestro Interiore’: ad un certo punto Dio parla in noi, non solo a noi. Una volta che la Parola di Dio è accolta, custodita, meditata, diventa Parola di Dio in noi (Ger 31, 31-34: ‘Verranno giorni in cui con la casa di Gerusalemme e la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova: io metterò la mia legge nel loro intimo, la scriverò nel loro cuore’). La samaritana comincia a capire qualcosa, e allora chiede da bere.

La domanda sul luogo dell’incontro con Dio e sul Messia

C’è un’interruzione brusca. Gesù sembra dare una svolta al dialogo, con un passaggio non motivato da quanto precede: dice improvvisamente alla donna di andare a chiamare il marito. Cosa c’entra il marito? Gesù conosce bene la situazione della samaritana (Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo – Gv 2, 25). Stiamo attenti: la prima cosa che avviene per gli uomini religiosi, che nella Chiesa non mancano mai, è vedere in questa donna l’immoralità: pensate il commento … La prima cosa che vede Gesù è una donna con una povera storia. Non ci viene detto perché ne abbia avuti 5; Gesù non giudica, a differenza degli uomini religiosi, che sono degli spioni e vedono come prima cosa il peccato. Gesù vede prima il dolore e la sofferenza, poi il peccato. Perché questa donna desiderava l’amore e ha avuto una storia disgraziata d’amore; ma siamo sicuri noi di non avere una storia d’amore disgraziata? E quando la storia è disgraziata cerchiamo l’amore più o meno bene, perché è una fame che ci abita e non possiamo farne a meno. Gesù alla donna non fa rimproveri, come sempre nel Vangelo. Vede il dolore e la storia sbagliata, e nel dire ‘va a chiamare tuo marito’ cerca la verità della donna. A Nicodemo ad un certo punto dice ‘tu sei un ignorante’; allo donna dice invece ‘tu hai detto il vero’. La storia, che prima era intrigata sul piano umano, ora si intriga sul piano religioso: ‘vedo che sei un profeta’. Il profeta non è un uomo straordinario, ma uno che vede dove gli altri non vedono, e capisce la vita delle persone. In questo senso Gesù è profeta: non nel senso che moralizza e giudica, ma come uno che ha umanità e capisce le cose dell’uomo.

Da qui la domanda sull’adorazione e sul luogo dell’adorazione. Gesù si rivela. Capisce che la donna è disponibile all’ascolto. Dio non si adora su un monte, ma nello Spirito santo e nella verità che è Gesù. Lo si adora quando si obbedisce allo Spirito e si fa la verità che è Cristo. Dio abita nel cuore di ciascuno di noi più che in questa Chiesa: noi non siamo degli ebrei! Dio è anzitutto nel cuore della persona: quello è il luogo in cui Dio abita, e va adorato. Ciascuno di noi deve essere la casa di Dio. Gesù dà una rivelazione grande: il tempio di Gerusalemme sarà distrutto; non servirà nemmeno il monte Garizim; non serviranno i sacrifici. È nel nostro corpo il luogo in cui adoriamo Dio (anche 1Cor 7). Gesù ha il coraggio di dire: in questa situazione i Giudei devono cessare di pensare al tempio, ma anche i samaritani.

Questa donna appartiene ad Israele, ma i samaritani avevano come Scrittura solo la Torah (il Pentateuco), e secondo la Torah deve venire il grande profeta (Dt 18), il successore di Mosè, il Messia. Quando verrà questo profeta, dice la donna, ci spiegherà dove si deve adorare e come. La donna accoglie quello che dice Gesù, ma non conosce ancora Gesù. E allora Gesù risponde: ‘Ego eimi’ = Io sono. È il nome di Dio che invia Mosè a parlare al faraone (Es. 3, 14). La rivelazione più piena di se stesso Gesù la dà a questa donna samaritana, eretica, spuria. Certo, tutto questo in modo molto velato. E la donna è chiamata a passare dalla religione alla fede. Era una donna emarginata: era una donna e secondo la legge non contava nulla, non poteva testimoniare per il diritto, non poteva parlare con un rabbino delle cose di Dio, non poteva andare alla sinagoga e al tempio (ancora oggi, anche nell’Islam). Gesù sta mutando le cose! E in quel momento arrivano i discepoli e si meravigliano che lui parlasse con una donna: per forza! Trovare Gesù solo con una donna sola in conversazione: i discepoli sono scandalizzati. Non la guardano, non tengono conto di lei, e chiedono a Gesù se vuol mangiare. Gesù si sente incompreso dai discepoli e accolto da una donna samaritana, peccatrice, eretica, scismatica.

La donna diventa apostola

Ma la cosa più bella Giovanni la dice come sempre en passant: ‘e la donna abbandonata l’anfora andò in città’. Molti commentatori non sono stati attenti a questo dettaglio, anche tra i Padri della Chiesa. Chi pensa che i discepoli possano essere solo gli uomini, passa sotto silenzio questo brano. Gesù passa lungo il mare di Galilea e parla con i discepoli, che abbandonati il padre e la barca, lo seguono. E la donna, abbandonata l’anfora, corre in città. Questa è una vocazione al pozzo, in cui questa donna incontra un uomo; è Gesù, le dice che è il Messia, lei crede e così non si ricorda più dell’acqua, ma va in città e diventa missionaria. Ed è furba: siccome le donne non sono credute di solito, parte destando curiosità nella gente, senza dire quello che lei pensa dentro di sé. Parla di un uomo, senza dire che è il Messia (cosa che lei già crede). È una donna ‘apostola’.

Giovanni conclude: molti vanno e credono per la parola della donna; ma molti di più credono perché ascoltano la parola di Gesù. i Giudei in Nicodemo non hanno creduto; i samaritani arrivano a dire ‘è il salvatore del mondo’. Nel IV Vangelo la grande confessione di fede è fatta dalla samaritana e da Marta (Gv 11): sono due donne a fare le grandi confessioni di fede. Questo incontro con la samaritana è umanissimo. È un incontro dove la donna ha creduto ed è diventata discepola; di più, è un incontro dove la donna è diventata apostola.

Concludo con il dialogo con i discepoli, il più difficile di tutto il capitolo. È il mese di aprile/maggio e Gesù dice che la mietitura è vicina. Ma subito dopo dice: vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete seminato. Loro non capiscono, e nemmeno noi. In At si dice che un giorno gli apostoli a Gerusalemme sono meravigliati che tra i samaritani ci siano dei cristiani, benché loro non siano andati ad evangelizzarli. È come se Gesù dicesse: ‘Mentre voi eravate in città a comprare pane, io ho seminato, questa donna ha evangelizzato, e voi non vi siete accorti di nulla’. E dopo la risurrezione si accorgono di cose che Gesù e la donna avevano fatto, mentre loro non avevano capito nulla ed erano preoccupati di comperare pane in città.