Come raccontare il vangelo ai bambini (e anche agli adulti) del catechismo? Come trasmettere la bellezza del vangelo inteso proprio nel suo significato etimologico di buona notizia? Come far sì che il vangelo sia veramente la guida della nostra vita? Queste domande e molte altre ancora sono state affrontate lunedì sera 16 marzo all’incontro dei catechisti (giovani e adulti) guidato da don Raffa. Proprio perché le domande erano alquanto impegnative don Raffa ha sgombrato subito il campo da un approccio eccessivamente intellettualistico al problema negando che il vangelo sia semplicemente un libro da leggere e da sapere: questa è infatti un’impostazione molto antiquata che sì è stata dominante per millenni nella nostra cultura, anche per evidenti motivi storico-sociologici, (era il sacerdote “sapiente” che spiegava il vangelo ai laici “ignoranti”), ma che ora non può più sussistere: se si imposta il vangelo come una cosa solo da sapere, non solo molti si sentono inadeguati, ma si perde anche quell’aspetto di novità e di sorpresa che il vangelo deve sempre avere. Un po’ some il dottore della legge che interroga Gesù per metterlo alla prova: cosa devo fare per ereditare la vita eterna? Non a caso Gesù risponde inizialmente in termini “teologici” Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. […] Amerai il prossimo tuo come te stesso…, ma poi, di fronte all’ulteriore provocazione del “sapiente”, spiazza tutti con la parabola del buon samaritano. E’ proprio questo l’aspetto su cui ci siamo confrontati: il vangelo è innanzitutto un racconto, una storia da narrare (d’altronde lo stesso Gesù si spiegava non tanto e solo con lunghe digressioni teologiche quanto con semplici, ma efficaci parabole). Se il vangelo è un racconto anche a noi catechisti è stato richiesto di raccontare un vangelo particolare a cui siamo stati legati e di metterlo in scena: ne è emersa una forma un po’ particolare del vangelo di Gesù che cammina sulle acque e una telegiornalistica parabola dei talenti. Al di là dell’aspetto puramente ludico, la drammatizzazione del vangelo è un’ottima forma per fare memoria di una parola viva e vivente, e non rischiosamente asettica. Il vangelo è infatti sempre una sorpresa perché libera scenari nuovi, riflessioni inaspettate, punti di vista differenti. Don raffa ha infatti insistito molto su questo aspetto: se, come catechisti e formatori, vogliamo trasmettere la bellezza del vangelo dobbiamo innanzitutto riscoprirne tale dimensione narrativa e quindi inedita. Il rischio al contrario è di fare come il dottore della legge il quale viene preso alla sprovvista dalla parabola del buon samaritano: aveva chiesto chi è il mio prossimo e la risposta di Gesù è incredibile. Gesù, infatti, non offre solo un’indicazione moralistica, una sorta di vademecum sul come si aiuta il prossimo, ma ci dice che la persona caduta nelle mani dei briganti siamo proprio noi (chi di questi tre è stato prossimo?) quando crediamo di capire e sapere tutto e invece il nostro prossimo, tra l’altro inaspettato come il samaritano, ci aiuta e ci fa vedere le cose in modo differente. Quindi quella di Gesù non è una richiesta esclusivamente pratica (come fare il bene), bensì è un ribaltamento dei nostri usuali modi di pensare e vedere le cose. E’ vivendo il vangelo e sorprendendoci per il vangelo che ne possiamo trasmettere il desiderio e la bellezza. Ma per farlo occorre anche fare memoria di quelle occasioni in cui un vangelo vissuto e raccontato (seppur tra le inevitabili fatiche e limiti umani) ci è stato trasmesso facendocene in qualche modo innamorare. Gli stessi simpatici video che don Raffa ci ha fatto vedere dei “bambini” delle medie (ora ragazzi delle superiori e delle università) che drammatizzavano il vangelo dell’indemoniato fatti durante i campeggi sono stati significativi proprio per ricordare che è quando narriamo con la vita il vangelo che esso comincia a parlarci.

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