Martedì 3 febbraio ci siamo ritrovati in comunità per riflettere sul tema del Secondo annuncio nell’ambito della serie di incontri dedicati a tale argomento iniziata il 18 gennaio con la visione del film “Corpo Celeste” e che proseguirà il 14 aprile con il confronto su alcuni testi che approfondiscono il tema. L’incontro è stato tenuto da uno dei principali sostenitori e ispiratori di tale nuova metodologia….e cioè il nostro non-parroco Don Ivo. Dopo la lettura di un brano del teologo Fossion, che ha ribadito la necessità di rinnovare la trasmissione della fede in un tempo come quello odierno in cui è finito ormai un certo modo non solo di vivere, ma anche di concepire il cristianesimo, ci si è divisi in gruppi per fasce d’età (20-34, 35-64, 64-….) . Ogni gruppo ha provato a rispondere a domande che stimolassero una analisi su come si viveva la fede prima e su cosa oggi è basata: i giovani si interrogavano su “credere oggi…cosa c’è che mi estranea dai miei coetanei?”, gli adulti su “cosa si reggeva ieri e su cosa si regge oggi la mia fede?”, i non più giovani su “che cosa è morto della mia passata esperienza di fede cristiana?”.

La discussione ha fatto emergere come, per motivi ovviamente diversi, tutti comunque sono ancora fortemente influenzati da un modello di trasmissione della fede ancora basato sulla centralità dei sacramenti e su una sorta di delega alla parrocchia vista come luogo di elargizione dei servizi in cui si impegnano solo pochi soliti noti che, inconsapevolmente e del tutto in buona fede, rischiano di assolutizzare il proprio modo di vivere la fede emarginando di fatto chi invece si sente lontano da tale esperienza. Tale modello, un po’ perché è stato effettivamente vissuto di persona (anziani e adulti) un po’ perché è stato vissuto di riflesso (giovani), è ancora molto forte e, a detta di molti, seppur  non più adatto ai tempi odierni, tuttavia rimane in auge continuando a supporre un orizzonte culturale che però ormai non è più comune e condiviso. E’ proprio su questo che Don Ivo ha insistito nella relazione successiva ricordando che un certo cristianesimo come sopra delineato è finito e che questo comporta non tanto e non solo la necessità di mutare i metodi quanto l’esigenza di rivedere i paradigmi interpretativi dell’evangelizzazione: ciò che rende il Secondo Annuncio un cammino nuovo non è tanto il fatto di essere un metodo nuovo; tale interpretazione infatti rischierebbe di essere riduttiva e soprattutto di dare adito a banali semplificazioni che vedono un’antitesi  tra vecchio e nuovo, tra sostenitori della tradizione e fautori del progresso, o, peggio, tra conservatori e progressisti. Ciò che il Secondo Annuncio tenta di introdurre è un cammino di comprensione e di valorizzazione di quelle nuove categorie del pensabile religioso che oggi sono messe in discussione. Se molti erano abituati a ritenere che la fede si giocasse soprattutto sulle pratiche religiose, che fossero di carattere più verticalmente sacramentale o più orizzontalmente sociale, ora tale impostazione viene radicalmente messa in discussione. E’ un po’ l’invito del papa che in un modo un po’ provocatorio afferma “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione

E’ un po’ questo a cui la nostra comunità è chiamata, un cammino di rinnovamento prima di tutto teologico che inauguri un per dirla con Fossion “uno spirito nuovo nel modo stesso di concepire la fede e di parlarne”

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