Messaggio di papa Francesco per la 48 giornata per la pace

Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così scrive l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo». Onesimo è diventato fratello di Filemone diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di discepolato in Cristo, costituisce una nuova nascita che rigenera la fraternità quale vincolo fondante della vita familiare e basamento della vita sociale. Nel Libro della Genesi leggiamo che Dio creò l’uomo maschio e femmina e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero: Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di Dio di essere fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità, quella di Caino e Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio. Ma la fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità. In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine, natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana creata da Dio. Purtroppo, tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti fratelli», vi è la realtà negativa del peccato, che più volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia commettendo il primo fratricidio. «L’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro». Anche nella storia della famiglia di Noè e dei suoi figli, è l’empietà di Cam nei confronti del padre Noè che spinge quest’ultimo a maledire il figlio irriverente e a benedire gli altri, quelli che lo avevano onorato, dando luogo così a una disuguaglianza tra fratelli nati dallo stesso grembo. Nel racconto delle origini della famiglia umana, il peccato di allontanamento da Dio, dalla figura del padre e dal fratello diventa un’espressione del rifiuto della comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento (cfr Gen 9,25-27), con le conseguenze che ciò implica e che si protraggono di generazione in generazione: rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione di Cristo sulla croce, fiduciosi che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia … per mezzo di Gesù Cristo». Egli, il Figlio amato, è venuto per rivelare l’amore del Padre per l’umanità. Chiunque ascolta il Vangelo e risponde all’appello alla conversione diventa per Gesù «fratello, sorella e madre», e pertanto figlio adottivo di suo Padre. Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue l’imperativo della conversione: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo». Tutti quelli che hanno risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono entrati nella fraternità della prima comunità cristiana: ebrei ed ellenisti, schiavi e uomini liberi, la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di ciascuno né esclude alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio. La comunità cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell’amore tra i fratelli. Tutto ciò dimostra come la Buona Novella di Gesù Cristo, mediante il quale Dio fa «nuove tutte le cose», sia anche capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa quella tra uno schiavo e il suo padrone, mettendo in luce ciò che entrambi hanno in comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo. Gesù stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi».

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