Vangelo   Gv 6,37-40

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

 

 

L’esperienza della morte delle persone amate è la più drammatica, forse più drammatica della propria morte. Se amiamo qualcuno, quando amiamo veramente qualcuno, noi non possiamo nemmeno concepire il fatto che la persona amata possa morire. E’ vero che “amare qualcuno significa dirgli: Tu non morirai” (G. Marcel).

Amare significa, infatti, esprimere il desiderio, vivere la volontà che l’altro viva e viva per sempre.

Il vangelo di questa domenica, nella quale commomoriamo tutti i fedeli defunti, ci annuncia che Dio ama così, che Dio vuole così: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla…, che chi crede in me abbia la vita eterna”.

Sì, il Signore amandoci vuole che noi viviamo: questa è la sua volontà verso di noi. Non esiste altra volontà di Dio se non quella che l’uomo viva, che l’uomo sia liberato dal male, che l’uomo possa partecipare alla vittoria di Cristo sulla morte.

Non c’è una volontà di Dio di altro tipo. La malattia e la morte non sono “volontà di Dio” a nostro riguardo. La disgrazia, la prova, la tribolazione non sono ciò che Dio si augura per l’uomo, ciò che Dio vuole per l’uomo. Siamo noi ad attribuire a Lui, non sapendoci dare altre ragioni, la responsabilità di ciò che Dio per noi non vuole, anzi di ciò che Dio detesta e contro cui ha lottato donando la vita del Figlio.

La volontà di Dio è una sola: la vita dell’uomo che lui ama.

La volontà di Dio è che quindi noi viviamo.

E come il Signore ci ha messo in grado di vincere la morte? Come ci ha fornito le armi per questa battaglia, mettendoci nella condizione di vincere e di avere vita in abbondanza, vita eterna, vita oltre la morte?

Ha la vita piena e sarà risuscitato nell’ultimo giorno colui che “vede il Figlio e crede in lui”. Ma cosa significano queste parole?

Vedere il Figlio significa “riconoscerlo”, identificarlo finalmente dietro le ideologie e le dottrine, riconoscerne il volto in modo personale, entrare con lui in una relazione che consente di distinguere la sua voce da ogni voce, conoscerne sentimenti e gusti, avere di lui una diretta esperienza. Davvero la nostra fede è di questa qualità? Quando e come ho “veduto” il Figlio?

Perché solo se lo vedo, solo se lo riconosco e ho con lui una relazione personale, posso credere in Lui, cioè affidarmi a lui, appoggiare sulla sua la mia vita, vivere fidandomi di lui, che è vivente e presente oggi nella mia esistenza. Credere nel Figlio significa fare affidamento sulla sua presenza e affidabilità.

Ecco chi “viene a me” e non viene respinto: colui che conosce e ama, colui che ha stabilito una relazione personale, colui che si è implicato e ha stretto un’amicizia, un rapporto di reciproca fedeltà. Costui non va perduto e vince la morte.

E non in modo “magico”: la fede non salva così. La fede salva perché si fa operativa, perché mette in moto la persona verso la salvezza. E lo fa facendoci condividere il vissuto di Gesù: lui ha vinto la morte con l’amore e così noi. Riconoscendolo, affidandoci a lui e seguendolo, noi vinciamo la morte con l’amore.

L’amore vince la morte, perché non è possibile che questa lo tenga in suo possesso (Cfr. ). L’amore vince anche la paura dell amorte. Sì, chi ama, quanto più ama tanto meno ha paura della morte. L’amore ci libera domani dalla morte e oggi dalla paura di essa. Ci libera da ogni schiavitù.

don Ivo

 

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