Vangelo  Mt 17, 1-9

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

 

 

Con Dio si vuole rimanere, ma da Lui si vuole anche fuggire. I discepoli infatti prima dicono che “è bello stare qui” e poi per la paura cadono con la faccia a terra. Se siamo ambigui nelle nostre relazioni umane e viviamo non di rado sentimenti contraddittori di attrazione e repulsione verso la stessa persona, figuriamoci con Dio.

E curioso, tuttavia, che in questo racconto i discepoli non abbiano paura quando vedono, benché la Bibbia dica chiaramente che nessun uomo può vedere Dio e rimanere vivo; essi, invece, hanno paura quando sentono la voce che esce dalla nube, che semplicemente dà loro un ordine: “Ascoltatelo!”.

Ma nell’Antico Testamento si dice che non muore soltanto colui che vede Dio, ma anche chi ne ode la voce (Dt 4, 32-33): il testo si stupisce infatti che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco (sul Sinai) e sia rimasto vivo.

Il racconto quindi ci vuole comunicare che ascoltare la Parola di Dio è un’esperienza temibile: ascoltare la Parola di Dio, infatti, non significa leggere la Bibbia, a piuttosto percepire la presenza viva di Dio nella vita, negli eventi che ci riguardano, nel fratello che parla, nella comunità che ci accompagna. Sì, è vero: fa paura sentire la Parola di Dio, perché preferiamo ascoltare noi stessi e darci conferma di quello che siamo; preferiamo circondarci di chi non ci mette in discussione e non ci spiazza. Stare con chi ci contraddice, con chi non ci riconosce nelle nostre scelte ci fa paura. E non di rado Dio ci parla così: ci parla di “altro” rispetto a quello che vogliamo sentire, ci propone altro rispetto a quello che stiamo facendo. La Parola di Dio non è per i pusillanimi e per i polleggiati: è una parola che – dopo aver consolato e commosso – punge interiormente e spinge a mettersi in cammino. Il libro dell’Apocalisse, riprendendo Ezechiele, infatti scrive: che la parola di Dio in bocca “è dolce come il miele”, ma nelle viscere se ne sente tutta l’amarezza (Ap 10, 9-10).

E’ forse per questo che noi ci accontentiamo di un ascolto superficiale della Parola di Dio? Ci limitiamo a gratificare la bocca con un breve momento di ascolto domenicale? Il comando del Vangelo è chiaro: “Ascoltatelo”, facendo scendere la Parola in voi, fino a dove questa parola fa contrasto con la nostra interiorità più profonda.

don Ivo

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