L’arcivescovo: «Mi hanno fatto parlare ma il giudizio era già stato scritto»

intervista a Silvano Maria Tomasi a cura di Gian Guido Vecchi in “Corriere della Sera” del 6 febbraio 2014

Eccellenza, cosa ha pensato leggendo il rapporto?

«Che non si possono mettere insieme casi di trenta o quarant’anni fa con la situazione di oggi, come

se nel frattempo non ci fosse stato un lungo lavoro di purificazione, modifiche legislative e misure

disciplinari più severe approvate negli ultimi anni. Non so, c’è una sorta di scarto, di sfasatura.

Quello che mi ha sorpreso è l’impressione che fosse già stato scritto, magari con l’aggiunta di

qualche paragrafo dopo l’incontro del Comitato con la nostra delegazione…».

L’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, 73 anni, è l’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu

di Ginevra. È stato lui, il 16 gennaio, a guidare la delegazione vaticana rispondendo per tutta la

giornata alle domande dei 18 «esperti indipendenti». Ora lo farà per iscritto: «Ci sarà una risposta

dettagliata, la stiamo preparando».

Perché parla di «sfasatura»?

«Nel rapporto si ripetono affermazioni scorrette, cose che ci erano state chieste e che avevamo

spiegato con assoluta trasparenza e chiarezza, senza nascondere niente, evidenze e documenti alla

mano. Come se le risposte non fossero state prese in considerazione».

Ad esempio?

«Il fatto che i preti non sono dipendenti o funzionari vaticani nel mondo ma cittadini del loro Paese,

per dire. Che se commettono dei crimini devono essere giudicati e puniti nel loro Paese perché sono

sottoposti alle sue leggi e non a quelle della Città del Vaticano».

Si dice: il Vaticano ha coperto i pedofili.

«Ci è stato chiesto se nella Chiesa c’era chi aveva cercato di evitare i processi civili, se erano stati

trasferiti pedofili da un posto all’altro. Casi che purtroppo sono accaduti, in passato. Ma oggi è

diverso, nel frattempo sono state prese misure severe a vari livelli».

Come le norme volute da Ratzinger nel 2010?

«Certo. E le istruzioni alle conferenze episcopali per definire linee guida contro gli abusi, le

riduzioni allo stato laicale dei colpevoli divenute più rapide, la legge che nello Stato della Città del

Vaticano ha incluso il reato specifico di abuso su minori, da ultimo la commissione internazionale

per la protezione dei bambini voluta da Papa Francesco per la prevenzione, la collaborazione con le

autorità civili, la punizione dei colpevoli».

Le «linee guida» chieste a tutte le chiese locali invitano a seguire le legislazioni nazionali. In

Paesi come l’ Italia non c’è però obbligo di denuncia da parte dei vescovi. Ma i vescovi stessi

non potrebbero darselo come regola obbligatoria?

«C’è l’obbligo del vescovo di sospendere subito l’accusato e procedere secondo il diritto canonico.

E insieme, certo, bisogna lasciare che proceda la giustizia dello Stato. Non sono competente sui

dettagli giuridici, ma è chiaro che al di là della legge esiste anzitutto un obbligo morale di far sì che

il colpevole sia punito».

Le risultano «decine di migliaia» di abusi?

«Non so da dove provenga la stima. Io dico che anche un caso solo è un caso di troppo, nella

Chiesa. Bisogna fare pulizia e prendere tutte le misure necessarie. Del resto, statistiche Onu parlano

di 40 milioni di casi di abusi ogni anno nel mondo. È un problema che riguarda tutta la società.

Dobbiamo impegnarci tutti, non solo la Chiesa cattolica, a combattere questo disastro degli abusi

sessuali sui bambini. Tutti dobbiamo prendere misure urgenti. Se si considera il lavoro fatto in

questi anni dalla Chiesa, penso non sia facile trovare altre istituzioni o Stati che abbiano fatto

tanto».

Lei ha parlato di «impostazioni ideologiche», che cosa intende?

«Pensi all’aborto: sembra che il Comitato voglia imporre alla Chiesa posizioni non negoziabili, che

toccano la libertà di religione e la stessa libertà individuale, di opinione. E poi la stessa

Convenzione dice che bisogna proteggere la vita del bambino prima e dopo la nascita! La Santa Sede l’ha ratificata e intende sostenerla, proseguire un dialogo costruttivo. Ma non è contestando

alcuni aspetti dottrinali della Chiesa che si faciliterà la protezione dell’infanzia. Piuttosto è il

contrario».

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