di Antonio Spadaro, in “Corriere della Sera” del 7 gennaio 2014

La sfida educativa è una delle grandi sfide del mondo contemporaneo. Papa Francesco lo ha ribadito di recente nella sua conversazione con i Superiori Generali pubblicata su La Civiltà Cattolica. Purtroppo alcuni titoli giornalistici che hanno parlato di «apertura alle coppie gay» sono stati fuorvianti nella comprensione di ciò che il Papa ha effettivamente detto e della grande sfida che ha delineato. La strumentalizzazione delle sue parole è risultata funzionale sia ai suoi detrattori di «destra» sia a chi lo esalta per usarlo a «sinistra». Che cosa ha detto esattamente il Papa? Che l’educatore «deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». Questo è il punto: «il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!». Per essere più chiaro ha fatto alcuni esempi, citando alcune sue esperienze a Buenos Aires sulla preparazione che si richiede per accogliere in contesti educativi bambini, ragazzi e giovani che vivono situazioni di disagio in famiglia: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “la fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studiano nelle scuole e che hanno i genitori separati sono elevatissime». Sono due situazioni differenti, ma che con chiarezza pongono sfide complesse: quella dei figli di genitori divorziati, e quella dei figli che si trovano a vivere avendo come riferimento domestico due persone dello stesso sesso. Papa Francesco, in realtà, più che vedere davanti a sé «problemi» per la fede, vede questioni da disputare e sfide da affrontare: finestre, non muri. Annunciando la sua rinuncia al ministero petrino, Benedetto XVI aveva ritratto il mondo di oggi come «soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede». E le questioni aprono dibattiti. Francesco ha raccolto il testimone di Benedetto: se i problemi non si trasformano in sfide, finiscono per bloccare l’azione e la riflessione, oppure finiscono per irrigidire la coscienza tormentata dai timori e dalla desolazione spirituale. Bergoglio dunque affronta la realtà con coraggio e fiducia in Dio, da uomo di fede qual è. Il Papa tiene sempre gli occhi ben aperti sulla realtà, e sa perfettamente che le sfide educative oggi non sono più quelle di una volta. Sa che – parole sue – «le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che a volte sono persino difficili da comprendere». Non si possono chiudere gli occhi. Perché? Per un motivo chiaro e preciso: perché bisogna annunciare il Vangelo a una generazione soggetta a rapidi mutamenti. Il Papa non ha «aperto alle coppie gay» dunque, come hanno titolato alcune agenzie legando le sue parole a un recentissimo dibattito nazionale. Il Papa invece ha aperto gli occhi alle sfide che questo cambiamento in atto nella nostra società sta ponendo all’annuncio del Vangelo. In questo senso dunque è invece corretto dire che il Papa ha avviato un dibattito sull’educazione. Ecco infatti le sue domande: «Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?». E infine il suo appello: «Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede». Bergoglio supera ogni irrigidimento a destra e a sinistra, e afferma una cosa che davvero pochi hanno notato: la sfida educativa si lega alla sfida antropologica. Qui c’è un punto caldissimo che il Papa ha posto con la sua solita semplicità, ammonendo così l’educatore cristiano: ci sono situazioni che facciamo persino fatica a comprendere, ma che siamo chiamati ad affrontare se vogliamo che il Vangelo sia ancora annunciato a ogni creatura. Anni fa, parlando agli educatori, Bergoglio aveva scritto che le scuole cattoliche «non devono in alcun modo aspirare alla formazione di un esercito egemonico di cristiani che conosceranno tutte le risposte, bensì devono essere il luogo in cui tutte le domande vengono accolte, e dove, alla luce del Vangelo, si incoraggia la ricerca personale». La sfida è grande: richiede profondità e attenzione alla vita. Il Papa non sta legittimando proprio nulla: nessuna legge, nessun comportamento che non corrisponda alla dottrina della Chiesa. Sta dicendo invece: non è solamente ribadendo principi che si annuncia il Vangelo all’uomo di oggi, ma bisogna accostare le persone, spesso ferite esistenzialmente e socialmente, così come sono, lì dove sono, innanzitutto per tentare di capire che cosa stanno vivendo. Me lo aveva ribadito con forza durante l’intervista che gli feci nell’agosto scorso apparsa su La Civiltà Cattolica. Misericordia significa questo: non giustificare peccati, ma accogliere con dolcezza l’umanità per la quale Cristo è andato in croce. E questo per annunciare la parola di salvezza in maniera efficace. Il Papa è ben consapevole che l’uomo e la donna oggi stanno interpretando se stessi in maniera diversa dal passato, con categorie diverse, anche da quelle a lui familiari. L’antropologia a cui la Chiesa ha tradizionalmente fatto riferimento, e il linguaggio con il quale l’ha espressa sono un riferimento solido, frutto anche di saggezza ed esperienza secolare. Tuttavia sembra che l’uomo a cui la Chiesa si rivolge non riesca più a comprenderli come una volta. La Chiesa è chiamata a confrontarsi con l’enorme sfida antropologica, dunque. Per far sì che la Chiesa sia sale e luce, con tutta la ricchezza della sua tradizione e della sua dottrina, deve essere insieme «faro» che illumina da una posizione alta e stabile, ma anche «fiaccola» che si sa muovere in mezzo agli uomini, accompagnandoli nel loro cammino, a volte difficile e a tratti anche accidentato. Insomma: la sfida educativa cristiana consiste nell’evitare che la luce di Cristo resti per molti soltanto un ricordo lontano, o che, peggio ancora, resti in mano a una piccola ed eletta schiera di «puri»: questo trasformerebbe la Chiesa in una setta. Paolo VI, tanto caro a Francesco, aveva scritto che evangelizzare significa «portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità che si trasformano», altrimenti, proseguiva, l’evangelizzazione rischia di trasformarsi in una decorazione, in una verniciatura superficiale (Evangelii Nuntiandi , nn. 18-20). Più di recente, nel 2009, Benedetto XVI, in volo verso la Repubblica Ceca, aveva detto che la Chiesa «ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma costituiscono una realtà molto viva e attuale, capace di offrire un orientamento creativo per il futuro». È proprio di questo «orientamento creativo» che c’è bisogno perché l’uomo possa essere aiutato a vivere secondo il Vangelo oggi. E l’orientamento creativo richiede lo sforzo di comprensione e di accoglienza alle sfide che papa Francesco sta vivendo giorno per giorno nel suo ministero petrino.

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