Giovedì sera una nostra vecchia conoscenza, fra Mauro, ha meditato con noi sul brano guida di questo nostro anno pastorale (Gv I 35-39). Il brano, incentrato sulla domanda dei discepoli (Maestro, dove abiti?) trova un pieno significato nella risposta di Gesù il quale sa scorgere il desiderio profondo dei due uomini che é un desiderio di senso, di pienezza: non a caso infatti il luogo dove si abita é anche il luogo che rivela chi siamo, che dice di noi, che esprime la nostra personalità. I discepoli vogliono sapere dove é il cuore di Gesù,  dove dimora il suo essere profondo. Come attestano altri brani del vangelo di Giovanni, Gesù fa sempre riferimento a sé come al padre: Gesù si autodefinisce sempre in relazione con il padre. Ma ciò che colpisce è che non é semplicemente in relazione con lui ma é LA relazione con lui. Gesù é relazione con Dio. Nella nostra società occidentale fortemente individualista é difficile comprendere questa dimensione: essere in relazione con qualcuno in modo così stretto che non ci si ritiene differenti dall’altro, che ci si identifica in esso. Da qui scaturisce una verità antica, ma sempre in voga: noi non siamo noi senza gli altri, senza il contesto che abbiamo vissuto. Gesù chiede che cercate perché noi cerchiamo continuamente e cerchiamo relazioni. La qualità delle relazioni che viviamo dice chi noi siamo. Noi siamo le relazioni che viviamo, anche nella lamentela, anche nella fatica. Per sapere chi siamo dobbiamo quindi interrogare la nostra casa cioè il nostro cuore, le nostre relazioni. Alla luce di questo anche il sapore di morte, di ferita causato dalle relazioni può diventare occasione di vita se vissuta con quella qualità propria di Gesù. La relazione di Gesù è tale per cui ciò che ferisce non determina distanza, fine, morte. L ultima stanza della dimora di Gesù infatti è la Croce. Gesù muore rimanendo dimorato nel padre. Noi non siamo capaci di una relazione così grande: avere fiducia nell’altro anche quando ci uccide. Gesù con la risposta ai discepoli ci dice proprio questo: vivere relazioni gratuite significa voler bene comunque, aver fiducia comunque. Tale richiamo è valido anche per la nostra comunità: nella misura in cui siamo capaci di vivere questa dimensione la nostra comunità sarà accogliente; la parrocchia rinnovata prima che di icone, mura, colori è fatta dalla comunità che la abita e saranno le qualità delle relazioni della comunità a renderla vera e fedele.