Vangelo    Gv 10, 27-30

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

L’immagine del buon pastore è forse una di quelle che con maggiore costanza accompagna la nostra vita di cristiani: fin da bambini ci viene insegnato che Gesù è il pastore buono e noi siamo le sue pecore; nel giorno della confessione spesso ricorriamo al Vangelo della pecora perduta, per prendere coscienza della bontà di Dio per noi; alla fine della vita, nella liturgia dei defunti, si recita ogni volta il salmo 22 (‘il Signore è il mio pastore’) e si chiede al Signore di prendere sulle spalle vita della persona cara che non c’è più e di portarla nel Regno. Eppure, è molto difficile accogliere seriamente questa parola, e tutta la nostra vita è una lotta per far sì che davvero Gesù sia il maestro e il pastore che guida i nostri passi e ci chiama per nome.  Penso che il Vangelo di oggi ci parli proprio di questa fatica. Nelle poche battute di questo testo ci sono 5 verbi che si susseguono e che sembrano quasi un ping-pong tra Gesù e i suoi: le pecore ascoltano la voce, Gesù le conosce, esse lo seguono, egli offre loro la vita eterna, esse non andranno mai perdute/nessuno le strapperà dalle sue mani. È come se il Vangelo ci descrivesse la trama di una relazione sempre più stretta, dove al gesto di uno fa eco la risposta dell’altro, in un’intimità sempre più forte che porta fino al dono della vita. E non è finita; Gesù dice che oltre a lui e alle sue pecore, c’è un altro attore, il Padre, con il quale lui per primo ha lo stesso rapporto di unità che propone alle sue pecore: ‘io e il Padre siamo una cosa sola’.  Cosa significa, dunque, per noi essere cristiani? Significa lasciarci definire pian piano da una relazione, da un ascolto e da una conoscenza che diventano sempre più intimi, che sfociano nella fiducia della sequela e nella possibilità di una vita nuova. Il Vangelo ci dice che in questo modo noi possiamo diventare davvero ‘una cosa sola con il Signore’, come è lui con il Padre, senza la paura di perdere noi stessi e la nostra libertà.  Allora mi faccio un domanda, che è per tutti noi: sono disponibile ad accettare questa relazione? Accetto che questo rapporto con Gesù definisca la mia vita, il mio cuore e le mie scelte? O preferisco dare qualcosa alla ‘religione’ e a Dio, tenendomi però sempre le mani libere?  Dalla risposta che diamo dipende tutta la nostra vita cristiana.

Don Raffaele

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