di Giovanni Nicolini (comunità Famiglia della redenzione e parroco della diocesi di Bologna) in “Jesus” dell’Aprile 2013

Per me questi primi giorni del nuovo vescovo di Roma sono ricchi di emozione e commozione. E non sono il solo, mi accorgo: tutti mi dicono e mi chiedono di papa Francesco. Circola una gran gioia, intrecciata a meraviglia e quindi a interrogativi sul futuro. A tutti rispondo con un’altra domanda: dimmi la ragione profonda della tua contentezza. E così, piano piano, viene fuori il motivo vero e grande: quest’uomo sta facendo brillare il Vangelo! E lo fa con poche parole semplici e sommesse, e con gesti quotidiani, non clamorosi, interni all’esperienza comune. Lì brilla il Vangelo! Questo è prezioso. Direi, è decisivo. Perché Dio non è più lontano. Ha occupato l’umano e dall’umano si rivela e si esprime. Il Papa in questi giorni fa alto magistero: dicendo «buona sera», pagando il conto della camera da letto, viaggiando in pulmino con i suoi fratelli, e anche nei discorsi “ufficiali”, condendo l’amore con la tenerezza… Anche il non credente resta stupito e commosso. Non basta dire che piace la semplicità cordiale del Papa. Bisogna dire che appunto è il Signore quello che Lui ci sta regalando nella celebrazione di un quotidiano umile e sereno. La miglior “predica” che si potrebbe ascoltare. Il Vangelo della domenica precedente l’elezione del Papa era sull’episodio del Prodigo, con la gran festa del Padre per il Figlio sciagurato. Il vero drammatico protagonista, però, è quel «fratello maggiore» che non se la sente di entrare in una casa così pazza. In una “giustizia” così “ingiusta”. Lui, che ha fatto sempre il bravo servo più che il bravo figlio, e non gli hanno dato mai una paghetta per far festa, adesso proprio non se la sente di entrare. E gli sembra di aver ragione nel suo indignato rifiuto. Allora ho pregato il Signore che ci mandasse, con il Papa nuovo, un «Fratello maggiore» disponibile e contento di entrare nella Casa del Padre dove si fa festa per i figli peccatori. Ho sognato la Chiesa così! E quella sera, quando Francesco, che doveva benedirci, ha chiesto che prima noi pregassimo in silenzio perché il Signore benedicesse Lui, ho capito che finalmente avevamo un «fratello maggiore» che ci faceva festa. E poi è venuta l’altra domenica, quella della donna adultera. E con il fiato sospeso ho aspettato e ascoltato quella Parola di Gesù: «Neanch’io ti condanno». Che bellezza. E che vertigine. Come ha potuto dire quella Parola? Ha potuto dirla perché prendeva su di Sé la colpa e la pena di quella donna. Si disponeva a morire d’amore per lei. Lei è la Chiesa e anzi l’intera umanità. E Lui è venuto a darle la vita. I fratelli dell’Oriente lo chiamano «Sposo di Sangue». Caro Francesco, hai fatto bene a venire tra noi per celebrare nella tua persona e nel tuo ministero l’amore fecondo del nostro caro Gesù. Dio ti benedica.

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