Le Fonti Francescane raccontano in più di un’occasione il momento in cui il Crocifisso di San Damiano parlò a  Francesco: mentre il santo si era fermato nella chiesa diroccata, dal Crocifisso appeso venne una voce che diceva  “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa, che è in rovina!”. Preso alla sprovvista, il ragazzo di Assisi pensava di dover  rimettere in sesto la chiesa di San Damiano e cominciò a raccogliere soldi per restaurare dei muri di pietra; solo più  tardi capì che la Chiesa di cui parlava il Signore non era un edificio fatto da quattro muri, ma la comunità cristiana,  persa nelle sue lotte interne e nelle sue dissipazioni. Sempre le Fonti raccontano che anche il papa dell’epoca,  Innocenzo III, ebbe la consapevolezza della missione del santo: infatti, mentre Francesco andava a Roma per  chiedere l’approvazione della sua vita, Innocenzo sognò che la Chiesa di San Giovanni in Laterano stava crollando, e  che un piccolo uomo la teneva su; questo uomo era Francesco. Giotto, in un affresco nella Basilica di Assisi, ha fatto  di questo racconto un dipinto bellissimo e molto famoso. Cosa c’entrano questi episodi della vita di san Francesco con la nostra parrocchia di san Pio X? La risposta è fin  troppo facile: anche noi abbiamo una chiesa da riparare! È per questo che il disegno che ci guida all’inizio del nuovo  anno pastorale ‘copia’ il famoso dipinto di Giotto.  Ma, come è successo al santo di Assisi, anche noi saremmo fuori strada se pensassimo che il nostro compito è  riparare quattro mura di mattoni: l’invito che ci fa il Signore è, piuttosto, quello di restaurare la nostra Chiesa, cioè la  nostra comunità. È vero che tante volte siamo un po’ tiepidi nel nostro essere cristiani, siamo chiusi nelle nostre  preoccupazioni senza accorgerci di chi ci sta di fianco o siamo fossilizzati nelle nostre pratiche tradizionali. A volte  abbiamo un pensiero un po’ fatalista nella fede, per cui, quando succede qualcosa, alla fine ci sarà qualcuno che ci  pensa e ci mette una toppa (in fondo c’è sempre chi legge nelle celebrazioni, chi si interessa dell’amministrazione, o  chi pulisce gli ambienti…); altre volte viviamo una logica un po’ assistenziale, per cui sentiamo la parrocchia come  un’agenzia che eroga servizi e prestazioni (le messe ad un certo orario, il catechismo, i sacramenti…).. Insomma, la  nostra chiesa-edificio un po’ dissestata forse è un simbolo del nostro vissuto comunitario, che insieme a tante  ricchezze ha anche molte fatiche. Il tempo che ci aspetta, con le sfide che porterà con sé (che scelte faremo sulla  chiesa? Dove troveremo i fondi? Come abiteremo i nostri locali in questi mesi?) può diventare per noi una grande  occasione di crescita comunitaria, per imparare a diventare tutti più attenti e responsabili della nostra comunità. Se  succederà così, allora anche noi potremo essere un po’ come Francesco nel sogno di papa Innocenzo: una comunità  che sorregge la Chiesa! Non un singolo, perché non ci devono essere prime donne e ultime comparse, ma una  comunità di fratelli.

don Raffaele

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