Il decreto sulle liberalizzazioni che consente l’apertura dei negozi di  domenica senza i precedenti vincoli, ha rilanciato il dibattito su questo tema. Si tratta di una questione complessa perché vede ragioni da una  parte e dall’altra: basti pensare che in questi giorni un soggetto della grande  distribuzione ha annunciato 100 assunzioni a tempo indeterminato per far  fronte all’allungamento degli orari. Qualcuno ha chiesto un intervento dell’Arcivescovo, che ha replicato ricordando di avere scritto una lunga lettera  pastorale nella quale è ribadito il valore, sociale prima ancora che religioso,  della festa e del giorno di festa (da notare che tutti i commenti pubblici sono stati positivi).  Il lavoro domenicale e festivo è sempre esistito e sempre esisterà: ci sono delle attività indispensabili che non si possono fermare. Non si tratta  solo della sanità, dell’assistenza, della protezione civile ecc., ma anche di  molti settori dell’agricoltura, di certi impianti industriali a ciclo continuo.  Una possibilità per risolvere almeno in parte il problema ci sarebbe: basta  che certe attività si facciano in altri paesi! Sembra una battuta, ma tante  industrie “pesanti” sono state trasferite fuori dal mondo occidentale sia per  problemi di costo del lavoro sia perché inquinare in Cina era/è meno problematico che in Italia. Se quindi il lavoro festivo è nella natura delle cose  dobbiamo domandarci fino a che punto è indispensabile. Oggi ci sembrano  insostituibili strumenti (PC, iPhone, iPad…) che pochi anni fa neppure esistevano, (…) ma è vero che coi ritmi di oggi senza le tecnologie non riusciremmo a fare quello che ci è richiesto. Tutto questo per dire che il perimetro dell’indispensabile è variabile e tende ad ampliarsi. Il discorso vale anche per gli acquisti della domenica. Poter avere un giorno in più per fare la  spesa può essere considerato utile visto il ritmo concitato della nostra vita.  Dovremmo però domandarci quanto le nostre esigenze  vanno a limitare  quelle degli altri: qualcuno deve pur lavorare per consentirci di fare la spesa. Questo vale sia per l’apertura domenicale dei negozi sia più in generale  per l’utilizzo dei beni: è noto che se tutti gli abitanti della terra consumassero come noi occidentali avremmo bisogno di alcuni pianeti. La Lettera alla  città che l’Arcivescovo ha scritto in occasione di San Geminiano ci ha proposto di seguire percorsi di vita virtuosi incentrati su poche parole chiave:  stile di vita più sobrio, condivisione come stile quotidiano. Come questo si  concili con le ricette per uscire dalla crisi basate su un rilancio dei consumi  avulso dal tema delle risorse e soprattutto della loro equa distribuzione a  livello mondiale, rimane un mistero e dovrebbe interrogare i credenti.  I documenti dicono che la Chiesa non ha ricette economiche, ma forse  sarebbe il caso di trovarne qualcuna perché i tempi sono cattivi e comportarsi da saggi forse non viene proprio spontaneo. In primo luogo potremmo  cominciare a riflettere all’interno delle comunità e delle famiglie su cosa è  veramente essenziale. La decisione di non fare la spesa alla domenica, proposta come stile di vita nuovo, sarebbe conseguente. Se poi riuscissimo ad  aiutare quelli che effettivamente sono in difficoltà in questa astensione dalla spesa domenicale faremmo un ulteriore passo verso lo stile di condivisione auspicato nella Lettera alla città. I centri commerciali aprono alla domenica perché la legge lo consente, ma anche perché la gente ci va, magari  aiutata da qualche promozione più o meno imperdibile.

Alessandro Monzani

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