Il nuovo anno pastorale sarà per noi un approfondimento circa la nostra vocazione di annunciatori del Vangelo verso tutti coloro che incrociano la vita della nostra comunità.

Questa riflessione del teologo gesuita Andrè Fossion può aiutarci a cogliere la posta in gioco.

Assistiamo oggi alla fine di un certo cristianesimo, ma non alla fine del cristianesimo. Esso sta attraversando una condizione generalizzata di ricominciamento.
Ma credere di nuovo non va da sé. Evangelizzare è sempre stato difficile.
In determinate situazioni o latitudini, infatti, l’evangelizzazione non è un’impresa facile, che si possa programmare, eseguire e portare a termine. Non si fabbricano credenti come si fabbrica un ponte o una strada. Perché nessuno ha potere sul luogo in cui la fede comincia o ricomincia. Ciò diviene più complicato oggi in Occidente, dove il cristianesimo non sembra più disporre di risorse ed energie sufficienti per rinnovarsi. Lo si percepisce ovunque: le forze si esauriscono, il personale invecchia, i mezzi diminuiscono proprio nel momento in cui le sfide, le urgenze e le difficoltà si moltiplicano. E gli sforzi intrapresi per superare la crisi, malgrado alcuni risultati incoraggianti, si mostrano incapaci di frenare la lenta erosione che intacca la Chiesa.
Dunque, come evangelizzare quando non se ne hanno più le forze e si è colti da un sentimento di stanchezza, addirittura d’impotenza?
Come riproporsi e vivere la missione dell’evangelizzazione in queste condizioni?
È certamente utile ascoltare oggi le stesse parole che Gamaliele rivolse al Sinedrio a proposito della missione dei discepoli di Gesù: «Se questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli» (At 5,38-39).
Questo affidamento del compito dell’evangelizzazione nelle mani di Dio non porta né al quietismo né all’attendismo. Non toglie nulla all’esigenza e alla necessità di pianificare le cose, di darci dei progetti pastorali intelligenti e audaci, ma ci invita a contare, proprio nell’ambito in cui siamo impegnati, su dei fattori imprevedibili che non dominiamo e di cui non possiamo misurare in anticipo gli effetti. Tutte le strategie pastorali che possiamo mettere in campo, per quanto necessarie, non saranno in se stesse che vele inerti, inefficaci e inoperose, se il vento non le avrà gonfiate perché la nave prenda il largo. I nostri progetti sono in un certo senso delle occasioni di partenza, di cui non possiamo immaginare né il momento d’inizio né il termine, perché non possiamo controllare il vento, la sua origine e la sua meta: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Gv 3,8).
Di conseguenza oggi siamo invitati a pensare e vivere il compito dell’evangelizzazione non solo come un progetto che ci sforziamo di realizzare, ma anche con un atteggiamento recettivo, quello dell’evento e della sorpresa. Perché se il compito dell’evangelizzazione è difficile, stupisce che esso accada certamente grazie a noi, ma anche senza di noi e perfino malgrado noi.

A. Fossion S.J.

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