Un seme di Vangelo (Gv 6, 51-58)

 Gesù parla di “mangiare masticando” la sua carne e di bere il suo sangue (vv. 53, 54, 56). Il suo è un linguaggio al limite della comprensione, un linguaggio di confine, sul baratro.

Tutto il contrario del nostro linguaggio.

A noi, di una certa età, è stato insegnato a deglutire l’eucarestia senza masticarla! Farlo sarebbe stato una mancanza di rispetto! E il pane eucaristico è un “pane celeste” da mangiare, sì, ma soprattutto da adorare circondato di ori, posto su pizzi e merlettati, onorato da incensi, circondato di drappi e condotto in trionfali processioni…

Quale confronto tra queste nostre tradizioni eucaristiche e la parola di Gesù?

Gesù sta dicendo: voi dovete assimilare la mia carne, il mio sangue, solo così avrete in voi la vita.

Non dovete onorarmi, adorarmi, maneggiarmi con devozione; dovete assimilarmi, facendo della mia carne, cioè della mia vita, dei miei sentimenti e gusti, delle mie azioni, delle mie parole il cibo da stritolare sotto i denti aguzzi delle vostre giornate e da ruminare nel trascorrere delle stagioni della vita.

Gesù è virile, non ci propone una fede da vecchierelle, ma da giovani appassionati!

Dov’è questo Gesù nelle nostre parrocchie?

La sua proposta di fede non è generalista, come quella del parroco; non è bambinizzata, come quella della catechista; non è intellettualista come quella del vescovo; né romantica come quella della nonna… Gesù, invece, ha una proposta di fede virile, appassionata, che prende le viscere, non soltanto convince la testa o accarezza il cuore.

Ha la vita eterna, dice infatti Gesù, chi mangia masticando la sua carne e beve il suo sangue (v. 54). Cioè chi mangia di di lui lo assimila e lo fa diventare carne e sangue del proprio corpo.

Questo linguaggio simbolico non va immediatamente “spiritualizzato”: al contrario, va accolto per il suo (crudo) realismo, per la sua provocante passionalità.

Gesù ci sta dicendo che noi diventiamo ciò che mangiamo.

Perché è vero che noi cresciamo quando la vita dell’altro è accolta e assimilata nella nostra vita. Allora “mangiando l’altro” noi cresciamo, cambiamo, diventiamo migliori. Nutrendoci dell’altro viviamo grazie alla relazione una maturazione di noi stessi. Plasmiamo la nostra identità.

Ecco quindi la fede: alimentarci dell’umanità di Gesù, della sua carne, nutrendoci delle sue scelte; dissetarci con il suo sangue, bevendo la sua vita, le sue passioni, le sue decisioni.

Così diventa nostro il suo stile, così si bonifica il cuore pieno di passioni impure, così si fortifica la volontà molle, così si acuisce un’intelligenza altrimenti confusa…

La fede è assimilare l’umanità di Gesù.

Il resto è devozione, forse perfino illusione spirituale.

E’ un linguaggio duro, perché Gesù indica un’unica via in questo discorso eucaristico: la compromissione tra la nostra via e la sua, tra il suo percorso e il nostro, tra la sua sorte e la nostra, tra il suo dono di sé e la nostra rinuncia a noi stessi… un linguaggio duro, una proposta troppo virile, troppo difficile.

Se alla fine pensiamo che la fede sia devozione, anzichè assimilazione, forse è meglio lasciar perdere. Purtroppo noi alla religione chiediamo di rassicurarci, mica di disturbarci! Chiediamo di abbassare la tensione, non di accendere la passione.

don Ivo

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