UN SEME DEL VANGELO 23 aprile 2017 (Gv 20, 19-31)

‘Pace a voi!’ È questo l’invito che oggi risuona più volte nel Vangelo: Gesù risorto lo dice ai discepoli chiusi nella paura quando è in mezzo a loro la sera di Pasqua; lo dice prima di alitare su di loro lo Spirito e inviarli; lo dice nuovamente otto giorni dopo alla comunità, ancora una volta chiusa in se stessa. In queste parole possiamo scorgere la sintesi dell’annuncio pasquale. Sì, perché la pace di Gesù raggiunge la comunità come un dono inaspettato, un dono a caro prezzo. Negli occhi e nel cuore dei discepoli c’erano ancora la morte terribile del maestro e il peso del loro tradimento; c’era la divisione – Giuda si era ucciso, Tommaso se n’era andato -; c’era a tenerli insieme la paura di esser a loro volta catturati e uccisi … non certo una bella presentazione per coloro che solo una settimana prima entravano in Gerusalemme sbandierando a tutti la loro adesione al Messia. In questo fallimento totale, il Signore giunge nella comunità senza rimproveri, ma con il dono della pace. E non una pace sciocca, superficiale. Il Vangelo dice che dopo aver detto ‘pace a voi’, Gesù mostra le sue ferite, così come farà otto giorni dopo nella vicenda personale di Tommaso. Mostrare le ferite: è questo gesto che garantisce l’autenticità del dono del Risorto, e i discepoli gioiscono proprio grazie ad esso! Anche Tommaso, nella sua fatica a credere, crollerà davanti all’invito a toccare, tanto che invece di mettere la mano nelle ferite, egli farà la professione di fede più alta di tutto il Vangelo. La pace che Gesù dona ai suoi amici nasce dunque dall’esperienza del perdono, e diventa per essi un compito: ‘come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi’.

Cos’è allora la risurrezione per noi? Come per i discepoli, è la possibilità di fare esperienza di una pace che nasce dal perdono, una pace non facile o superficiale, una pace che è passata per la morte del tradimento e della delusione. Risurrezione è poter scoprire che anche nei nostri fallimenti, anche quando sentiamo di toccare il fondo, la nostra vita è amata e risollevata. Le ferite che noi abbiamo inferto non sono la parola definitiva: rimangono sul corpo del Signore, è vero, ma solo per ricordarci sempre che l’amore è più forte della morte. Questo è l’annuncio che la Chiesa è chiamata ad offrire al mondo. Rimettere i peccati o non rimetterli non è un potere, è piuttosto una responsabilità: da ora in poi la pace a caro prezzo di Gesù potrà raggiungere il mondo attraverso le nostre vite, e se noi non saremo in grado di trasmetterla con i nostri gesti e le nostre parole, allora tutto il mondo resterà impoverito.

Don Raffaele

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