Intervista a Christoph Schönborn, a cura di Andrea Tornielli in “La Stampa” del 14 aprile 2016

«Stiamo mostrando il volto di un’Europa dal cuore duro». Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, commenta così le notizie che arrivano dal Brennero e la decisione di creare controlli serrati per evitare il passaggio incontrollato di immigrati dall’Italia verso l’Austria.

Che reazione le provoca ciò che sta accadendo al confine tra Italia e Austria e, in generale, in alcuni Paesi europei?

«Una sensazione di tristezza. L’opposto della misericordia, alla quale ci richiama in continuazione Papa Francesco, è l’indurimento del cuore. Ecco, in Europa stiamo vivendo una situazione di questo tipo. Invece di accogliere pensiamo ad innalzare nuove barriere»

Come giudica questo atteggiamento?

«Dobbiamo cercare di costruire, tutti insieme e senza lasciare soli i Paesi di frontiera o i Paesi più piccoli, un’Europa che non ruoti solo intorno all’economia, ma anche alla sacralità della persona umana. Dove sono andati a finire i valori che ci hanno unito? Li abbiamo dimenticati? Rischiamo di essere un’Europa dal cuore indurito. Dietro a questa perdita di sensibilità nei confronti del prossimo c’è l’incapacità di commuoversi, di compatire, cioè di patire insieme a questi fratelli. È una perdita di umanità, una nuova forma di paganesimo. L’antico paganesimo, come ha ripetuto più volte Joseph Ratzinger, era segnato proprio dall’insensibilità».

Che ha significato ha la visita del Papa a Lesbo, sabato prossimo?

«La domanda che ci pone Francesco è semplice: dov’è tuo fratello? Il Papa, prima con il suo viaggio a Lampedusa e ora con la visita a Lesbo ci ricorda che siamo di fronte a delle persone umane. Prima di vedere il problema o l’emergenza, ci sono delle persone, come me e come te, e queste sono il nostro prossimo».

C’è chi obietta che non si può accogliere tutti, indiscriminatamente.

«Accogliere e ricordare i valori fondanti dell’Europa non significa non porsi il problema di come governare il fenomeno migratorio e le emergenze. Penso al peso che sopportano alcuni Paesi che sono sull’orlo del collasso, dove si trovano a vivere ammassati nei campi milioni di profughi: parlo del Libano, della Giordania, della Turchia, ad esempio. Penso poi agli avamposti della nostra Europa, a isole come quella che visiterà il Papa. Bisogna mettere sempre al centro la dignità umana degli immigrati, che non sono numeri per le nostre statistiche. Sono donne, bambini, giovani, uomini, anziani. Persone in carne e ossa che fuggono dalla disperazione, che hanno lasciato tutto, che spesso non hanno più una casa. Finché non ci abitueremo a vedere i volti in carne e ossa delle persone dietro i numeri, non ritroveremo quel cuore che l’Europa, l’Europa cristiana, sembra aver smarrito. Non ci possiamo permettere di smarrire i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, anche se in certi momenti della storia, come ha ricordato Papa Francesco, possono essere un peso difficile da portare».

Cosa bisogna fare, secondo lei?

«Ci sono le emergenze da affrontare con buon senso, ragionevolezza e accoglienza, coinvolgendo tutti i Paesi della Ue. Non dobbiamo mai dimenticare, tra l’altro, le responsabilità che abbiamo come Occidente nei confronti di certi Paesi i cui cittadini pagano le conseguenze delle nostre guerre. Ma oltre l’emergenza, servono politiche concrete che aiutino i Paesi di provenienza dei migranti a superare i conflitti interni e a svilupparsi garantendo la pace. Noi dovremmo lavorare per superare i conflitti, non per alimentarli».

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