C’era anche il Vescovo Erio, martedì 26 gennaio, al Pontificio Istituto Augustinianum di Roma. Insieme a lui, i preti della comunità dei SS. Basilio e Gregorio, in cui Raffaele vive da ormai da più di 16 anni, altri amici preti e diaconi, diversi suoi compagni di studi, i suoi genitori e sua sorella Amalia, qualche amico di altre parrocchie in cui è passato, e noi. Sì, c’eravamo anche noi, una quindicina di adulti e giovani di san Pio X. Noi che poco sappiamo di patristica, ma che molto sappiamo della tenacia con cui don Raffa ha portato a compimento il suo lavoro di tesi. Il lavoro di ricerca, lungo ed articolato, durato sette anni (in parallelo all’attività pastorale svolta qui a san Pio, in particolare con i giovani), ha affrontato il tema della carità in Massimo il Confessore, un monaco del VII secolo, cerniera tra la patristica orientale e quella occidentale. Carità da intendersi nel fatto che Cristo si è fatto carico dell’ambiguità dell’uomo conseguente al peccato, per sanare la nostra volontà inclinata verso i desideri della carne e l’amore di sé. Lo stesso relatore della tesi, il prof. Philipp Renczes, ha elogiato il lavoro (“eccezionale”), rinato più volte dalle ceneri per la complessità di una ricerca su un autore tutt’altro che facile. Raffaele, che già insegna all’ISSR Ferrini di Modena, ha presentato il pensiero di Massimo il Confessore sul tema della divinizzazione, che non è da intendersi semplicemente come percorso dell’individuo nel suo rapporto con Dio, e neppure da leggersi nella prospettiva di integrazione e redenzione della creazione. La divinizzazione dell’uomo è da comprendersi in modo dinamico, come imitazione della misericordia di Dio. In questo senso, se Cristo è modello per il discepolo, il cristiano diviene modello per altri uomini; o, per riassumere il tutto in una sola frase, “Cristo si è offerto come modello per noi, affinché noi possiamo seguirne i passi”. “Modello” non significa meramente qualcuno da imitare: Cristo è modello perché attraverso il battesimo si costituisce un rapporto molto stretto con il credente; e perché i termini che si applicano a Gesù sono attribuibili anche al credente, essendo egli non solo autore della fede, ma anche pioniere di quella stessa fede che hanno coloro che credono in lui.

Queste parole sono solo un “assaggio” della presentazione che Raffaele ha fatto in un primo momento, prima di affrontare le osservazioni di altri due docenti dell’Augustinianum e rispondere con grandissima competenza alla domande a lui rivolte. Dopo quasi due ore di “battaglia” la tesi è stata valutata con il massimo dei voti.

Abbiamo vissuto così un momento veramente intenso non solo per la gioia che abbiamo potuto condividere con don Raffa, ma anche per la consapevolezza che tutti abbiamo avuto della profondità del lavoro che ha svolto in questi anni e comprendere così cosa significa per un presbitero essere da una parte vicinissimo alle persone nella quotidianità dell’impegno pastorale, e dell’altra, meditare la tradizione antica, da cui trae linfa la creatività pastorale sempre più richiesta oggi.

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