La consapevolezza di essere chiesa, “assemblea santa, popolo che Dio si è acquistato, sacerdozio regale”, fonda e determina la partecipazione di tutti i fedeli all’eucaristia: Tutti cioè siamo abilitati a rendere grazie, ad offrire il sacrificio di Cristo e in lui ad offrire noi stessi al Padre. Dall’impegno comune scaturisce il servizio da rendere con gioia all’assemblea celebrante. Si tratta di servizio, non di privilegio o di rivendicazione che presuppone l’esperienza di una fraterna partecipazione e di un forte senso di appartenenza alla comunità.

Il modo di intendere i sacramenti come competenza esclusiva dei ministri ordinati ha dato spazio ad un certo potere del clero e ha creato nei laici un senso di inferiorità che li fa sentire non “aventi il diritto” di entrare in un certo luogo (il presbiterio) di toccare una certa cosa (le specie eucaristiche) di partecipare ad una certa azione. Questa mentalità molto diffusa, da cui anche noi non siamo esenti, ci induce a pensare che i preti e in qualche maniera, ma ad un livello inferiore le suore (le quali sono né chieriche, né laiche) siano i più vicini a Dio, che le loro preghiere abbiano più valore forse perché supponiamo siano fatte meglio (rispondenti a certi canoni che le rendono più efficaci) e che noi non siamo così degni di poter esercitare un ministero tanto sublime quale è quello di distribuire la comunione. Ma non siamo stati tutti consacrati nel battesimo? Non siamo stati tutti innestati nel corpo di Cristo divenendone membra vive? Avremo semmai funzioni diverse nell’edificazione della chiesa, ma tutte con uguale dignità e diritto di cittadinanza.

Ogni ministero nella chiesa viene assunto nella libertà e con responsabilità. Tutti sappiamo che i ministeri istituiti (ad es. l’accolitato, il lettorato) sono tuttora riservati agli uomini. Così vuole il diritto canonico. Ma tutti sappiamo che nella chiesa molti ministeri sono assunti con responsabilità e dedizione dalle donne, pur senza il riconoscimento ufficiale.

I servizi liturgici non si sovrappongono, ma nascono dall’assemblea. Tra i servizi di rilievo ricordiamo quello del coro che deve dirigere e sostenere il canto per una partecipazione attiva di tutta l’assemblea al canto; quello del lettore chiamato a proclamare la Parola; quello del salmista che ha il compito di guidare l’assemblea a rispondere alla Parola ascoltata; i ministri per l’accoglienza che mostrano attenzione e ospitalità ai fratelli e li aiutano a trovare posto per favorire un’ordinata disposizione e partecipazione; i ministri per la raccolta delle offerte che permettono a tutti di contribuire all’assistenza ai poveri e ai bisogni della comunità, i ministri della comunione, chiamati a distribuire il cibo che dà vita evocando il gesto di Gesù dopo aver moltiplicato i pani “li spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero” (Mc 6,41)

Di fronte a questa richiesta del ministero dell’eucaristia è ovvio che ognuno di noi si sia posto la domanda “perché proprio io? perché proprio a me?” Il perché lo deduciamo da quanto detto fino ad ora: perché la comunità prenda consapevolezza della sua identità, del suo ruolo attivo nella celebrazione e smetta di essere una passiva fruitrice di servizi. E questo può avvenire se incominciano a decentrare i servizi e a coinvolgere più persone. Non sempre gli stessi che fanno le letture, che raccolgono le offerte, che suonano, che fanno l’accoglienza, che preparano l’aula liturgica, che distribuiscono la comunione … e allora passa l’idea di una comunità tutta ministeriale. Persone che attraverso la ministerialità si fanno conoscere come appartenenti alla comunità.

Il momento della comunione è quello culminante la celebrazione. È il momento in cui compiamo le parole del Signore “prendete e mangiate … bevetene tutti”. Ciò che il Signore ha chiesto di fare è proprio questo, la comunione. Nell’eucaristia noi riconosciamo il suo corpo sacrificato per tutti e in tutti. Ci è chiesto di accoglierlo con fede e amore. Nessuno è degno, sulla base delle proprie virtù o meriti, di comunicare al corpo del Signore. Di conseguenza non si può misurare il grado di preparazione o impreparazione, di dignità o meno nell’accostarsi alla comunione. Partecipare alla mensa del Signore chiede di rispondere con l’amore all’amore “affinché anche noi, assieme a tutti i santi che in ogni tempo gli furono graditi, abbiamo parte a quei beni eterni che il Signore ha preparato per quelli che lo amano”.

Purtroppo la prassi della comunione è divenuta nei secoli e per secoli, funzionale ai bisogni spirituali dei singoli fedeli (pensiamo alla comunione fuori della messa), che persiste anche nelle nostre celebrazioni (pensiamo ai canti intimistici: sei qui totalmente Dio, totalmente mio; a certe preghiere: sei presente in me con il tuo corpo, sangue, anima e divinità; forse anche ad una certa catechesi …). Si arriva a concepire la comunione come una realtà che tradisce lo spirito della preghiera eucaristica che recita:

“Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo … e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito”

Categories: Approfondimenti