«Una chiesa, “ospedale da campo”, deve sentirsi impegnata sul fronte del ministero dell’annuncio e della riconciliazione, come anche sul fronte della riflessione e del pensiero» scrive padre Antonio Spadaro nella lunga prefazione ad un testo il cui titolo, come si dice, è già un programma: «La famiglia, ospedale da campo». Di qui la scelta editoriale di riproporre (accanto ad altri inediti) una serie di articoli pubblicati negli ultimi due anni dalla rivista Civiltà Cattolica sul tema. Una famiglia che, di fatto, si presenta oggi come un altro «ospedale» perché in un contesto radicalmente cambiato nel giro di pochi decenni, le sfide da affrontare, tra le pareti domestiche come nella società sono in aumento e, spesso, anche caratterizzate da una radice comune: l’uomo e la donna si interpretano in maniera differente rispetto al passato. Se la Chiesa è chiamata a mostrare il volto misericordioso del Padre, dal punto di vista del discernimento pastorale «occorre riscoprire il patrimonio dottrinale della tradizione, in modo da prendere sul serio la odierna condizione umana» nell’ottica di quanto evidenziato in una delle omelie – che il direttore di Civiltà Cattolica definisce più «fondative programmatiche del pontificato»: quella del 15 febbraio 2015 con i nuovi cardinali creati il giorno precedente, dove Bergoglio contrappone la logica dell’amore a quella della paura. «Due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti». Ecco allora, accanto agli interventi di cui si è parlato nei mesi scorsi – come il tema di matrimonio e seconde nozze al Concilio di Trento o il rapporto fra misericordia e verità . Un esempio sono i due contributi che vengono pubblicati in contemporanea nell’ultimo numero della Rivista (29 settembre 2015) sul tema dell’eucaristia, una scelta che non sembra casuale, dato che il tema è atteso alla discussione del Sinodo. A partire dalla formazione catechistica impartita nel passato in preparazione al sacramento della Prima Comunione (un incontro con Gesù, purché degni di un così grande dono) padre Cesare Giraudo esamina la sistematica scolastica – che definisce «l’eucaristia al microscopio» – per concludere come ci sia concentrati per secoli su un dettaglio perdendo di vista il tutto: una riduzione concettuale della messa alla sola consacrazione (e la chiesa ortodossa, pur con le differenze del caso, non è stata da meno). Ma se nei secoli si era giunti a guardare attraverso l’oculare di un microscopio, ben diverso era stato l’approccio dei padri della Chiesa: quello del grandangolare che non perde mai di vista la finalità dell’eucaristia, vale a dire la trasformazione dei comunicanti in termini di conversione di quanti si accostano al Corpo di Cristo. «Ogni volta che lo riceviamo, annunziamo la morte del Signore e la remissione dei peccati, allora devo riceverlo sempre, perché mi rimetta i peccati. Io che sempre pecco, sempre devo avere la medicina» scrive Ambrogio nel De sacramenti (4, 28) e «ci spiazza» commenta padre Giraudo, «abituati come siamo ai manuali che vivisezionano il mistero». Di conseguenza: «Le “cose sante” sono indubbiamente “fatte per i santi”, ma anche “per diventare santi”, perché, se aspettassimo di essere santi, la comunione non la faremmo mai». In ideale continuità il contributo di padre T.Howland Sanks sui cambiamenti nella Chiesa e le dinamiche della tradizione. «Perché le riforme costituiscono un problema per le tradizioni religiose quando non lo sono affatto in altri settori della vita umana, quali la medicina, la scienza o le arti? ». Un tema che ha attraversato la storia della Chiesa e non solo quella: «come possiamo mantenere la nostra identità e nello stesso tempo mutare? » e «quali cambiamenti sono legittimi, autentici e veri, e quali non lo sono?». L’analisi di padre Sanks parte da uno dei primi teologi che affrontarono il tema (Vincenzo di Lerino, monaco del V secolo) passando per lo «sviluppo storico» di John Henry Newman fino a Yves Congar, il «teologo domenicano che nei tempi recenti ha dato il maggior contributo alla discussione» fissando quattro condizioni per riforme vere e autentiche: il primato della carità, il rimanere nella comunione, la pazienza e il rispetto dell’attesa e il «ritorno al principio della tradizione». Attenzione privilegiata al concetto di «habitus» secondo l’accezione del sociologo e antropologo francese Pierre Bordieu (1930-2002): «se il comandamento fondamentale del cristianesimo è l’amore per Dio e per il prossimo, quando si presentano nuove situazioni, si trovano nuovi modi per mettere in pratica la carità: oggi, nei campi per rifugiati, negli ospizi per le vittime dell’Aids, attraverso madre Teresa di Calcutta o grandi organizzazioni come la Caritas». Come dire: è l’habitus cristiano che genera modi diversi di mettere in pratica l’amore verso Dio e verso il prossimo. «Per quanto mettiamo in pratica questo habitus nelle azioni concrete, siamo i depositari della tradizione, non solo come eredità del passato, ma anche come compito per il presente e per il futuro». Nel testo altri contributi inediti, e più specifici, a firma di Oliviero De Bertolis, sul tema del diritto tra ragionamento e applicazione pastorale e sulla necessità di ripensare il diritto in prospettiva canonistica: «il diritto è l’applicazione di principi elaborati astrattamente, per quanto ovviamente ritenuti giusti, come se la realtà venisse regolata “dall’alto”, imbrigliata come una rete caduta dal cielo? Oppure nasce e vive in una continua considerazione della singola persona, quella coinvolta nelle domanda di giustizia, e quindi nasce “dal basso”, da una situazione, o fattispecie, che chiede di essere ascoltata, compresa e tutelata?».

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