Il nuovo anno pastorale sarà per noi un approfondimento circa la nostra vocazione di annunciatori del Vangelo verso tutti coloro che incrociano la vita della nostra comunità.

Questa riflessione del teologo gesuita Andrè Fossion può aiutarci a cogliere la posta in gioco.  

 

Un nuovo credente o un ricominciante nella fede, infatti sarà sempre una sorpresa e non il risultato di uno sforzo o il bottino di una conquista. È questa la condizione dell’evangelizzatore: prendere parte, con serietà, a un compito di cui conosce le difficoltà, preparato a incontrare liete sorprese.

Aprirsi a liete sorprese significa in particolare cessare di dividere le persone tra coloro che sono al centro, alla soglia e alla periferia.

Significa riconoscere che Dio si è fatto prossimo di tutti e coloro che sono considerati «i lontani» spesso manifestano un adeguamento al regno di Dio e una disponibilità a comprendere la buona novella che ci stupiscono. Fu questa, del resto, l’esperienza stessa di Gesù quando fu preso da ammirazione davanti al centurione: «Presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande» (Mt 8,10).

Evangelizzare lasciandosi sorprendere significa anche riconoscere la forza del fascino che il vangelo porta in sé e da se stesso. Significa riconoscere con stupore che la figura di Gesù resta intatta nella nostra cultura e che gli esseri umani rimangono «capaci di Dio» oggi come ieri, senza che gravi su di noi il compito di dover creare in essi questa capacità.

Lasciarsi sorprendere dal vangelo significa anche e forse primariamente nelle attuali condizioni predisporsi ad accogliere gli alleati inattesi, soprattutto quando ci si sente stremati, in esilio, come in terra straniera.

Questi alleati inattesi possono essere persone, eventi, teorie, aspirazioni culturali nuove: al di fuori di ogni nostra previsione, contribuiscono a dare rilievo al messaggio evangelico, conferendogli una nuova pertinenza. Spesso riteniamo che l’evangelizzazione sia un ‘opera della Chiesa; e così dimentichiamo che in quest’opera essa incontra molteplici circostanze o collaboratori che, dal di fuori, appoggiano il suo progetto, il suo messaggio, le sue realizzazioni, alla maniera di Ciro, re d. Persia, che, contro ogni aspettativa, il Signore chiama per ricostruire Gerusalemme e ristabilire il popolo nella sua libertà.

Sì: davvero lo Spirito soffia dove vuole. Quando il cristianesimo si addormenta sul suo tesoro, si paralizza in un linguaggio stereotipato o sembra aver esaurito tutte le sue risorse, inaspettatamente è proprio il mondo secolare a soccorrerlo, per ridare forza al vangelo. Così, contro ogni aspettativa, possono riemergere dei motivi cristiani, in modo nuovo, proprio in ambito culturale, con una forza e un’autenticità capaci di sorprendere il mondo e gli stessi cristiani.

«Il vecchio albero che crolla fa più rumore della foresta che cresce», dice un proverbio africano. Nella Chiesa molti si danno da fare si spossano perfino per tenere in piedi il vecchio albero che crolla. Ciò non è inutile se si tratta di rallentarne la caduta per evitare che qualcuno rimanga schiacciato. Ma l’importante è la foresta che cresce. Oggi non possiamo immaginare con esattezza o programmare completamente ciò che sta crescendo. Tutt’al più possiamo favorirne la crescita. Così, il cristianesimo che viene non sarà unicamente il risultato dei nostri sforzi; sarà anche il frutto nuovo, inaspettato, sorprendente dell’azione dello Spirito Santo nel cuore del mondo.

A. Fossion S.J.

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