Quando una famiglia o una persona si accingono a cambiare o ristrutturare casa ecco che emergono numerose e disparate domande: dove mettere la camera da letto? Come sistemare la cucina? Quali mobili scegliere? Di che colore dipingere le pareti? Ecc…ecc..

L’impellenza di tali questioni è chiaramente visibile sotto forma di frequenti e, a volte, altisonanti discussioni da parte di chi decide di (con)vivere insieme (basta andare in un noto ipermarket svedese del mobile alla domenica pomeriggio). Se tutti questi problemi possono apparire un po’ effimeri ai più, in realtà, con uno sguardo più profondo, scopriamo che non sono affatto banali, ma spesso siamo noi a renderli tali. Infatti, essi esprimono la necessità di una fondamentale mediazione tra ciò che si ha (le proprie risorse, non solo economiche, ma anche fisiche, il proprio corpo insomma…) e tra ciò che si è (i propri desideri, le proprie aspettative, ciò che si vuole trasmettere di sé, la propria mente). Al contrario spesso noi oscilliamo tra una sostanziale indifferenza frutto di una mentalità razionalistica (va bene tutto, deve essere solo funzionale) ed una eccessiva cura dei particolari frutto di una mentalità efficientistica (devo andare incontro ad ogni esigenza).

Un po’ la stessa cosa è avvenuta per la nostra chiesa rinnovata: il terremoto ha costretto ad un cambiamento nei confronti del quale si è discusso, anche litigato, ma si è sempre cercato di coinvolgere le persone perché tutti potessero partecipare alla costituzione di un nuovo tempio che non fosse solo l’esito della decisione di altri anche se magari più esperti e capaci. Come la propria abitazione vuole esprimere qualcosa di noi allo stesso modo la chiesa rinnovata esprime qualcosa della comunità che la abita; il luogo infatti dove si svolge un rito non è solo un contenitore, una sorta di forma, di involucro poco rilevante, bensì esso contribuisce a dare senso e significato a quello che si celebra. Per questo motivo giovedì 5 durante il consiglio pastorale (vd. verbale in bacheca) Don Ivo ha inizialmente sollecitato gli interventi partendo proprio da ciò che ci suggerisce la chiesa rinnovata: sarebbe infatti un peccato grave trascurare questo aspetto perché, come ci ha ricordato il  teologo Grillo in uno stralcio del suo libro “Riti che educano”, il rito che si celebra non è solo un qualcosa di concettuale o astratto, ma coinvolge tutta la nostra corporeità. Parafrasando Don Paolo Tomatis (liturgista che abbiamo ascoltato tempo fa)  dobbiamo sempre cercare di passare dai sensi al senso come unico modo per vivere appieno i riti che celebriamo. Ecco quindi che le icone, la nuova disposizione dell’altare, la posizione del fonte battesimale, ecc… non sono semplici involucri, forme che quindi vanno giudicate esclusivamente dal punto di vista estetico (mi piace/non mi piace) bensì sono portatrici di significato, trasmettono valori, messaggi su cui occorre riflettere anche criticandoli, ma criticandoli cum grano salis rilevando, cioè se e cosa dicono alla mia fede.

Il rischio infatti è di cadere, come si diceva prima, in due atteggiamenti opposti: la sciatta indifferenza (va bene tutto, tanto la chiesa è solo un edificio dove vado a pregare) che è sbagliata non tanto perché denuncia una certa superficialità, quanto perché pone il rito su di un piano essenzialmente concettuale e individualista (prego io nella mia mente con il mio Dio). Allo stesso modo anche la maniacale cura di tutto (perché non un crocifisso dietro l’altare? Perché non una statua della madonna? Perché un altare così raffazzonato quando ne abbiamo uno bellissimo in marmo?) dice la difficoltà a staccarsi da una religiosità a cui legittimamente siamo affezionati, ma ancorata ad una sensibilità datata, la chiesa di un tempo dove tutto, più o meno, funzionava per andare incontro alle richieste dei tanti fedeli che pullulavano la parrocchia.

Quale, allora, l’atteggiamento giusto? Lo scopo di quest’anno pastorale sarà proprio quello di riscoprire il valore educativo dei riti e, in questo, ci faremo aiutare dalla nostra chiesa rinnovata e dalla lettura del libro di Andrea Grillo (Riti che educano), anch’egli intervenuto qualche tempo fa a Modena.